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PMI. Roberto Capobianco, presidente Conflavoro: “Sostenere tessuto produttivo per rilanciare la crescita del Paese”

di Marco Montini -


Con oltre 90mila aziende associate, Conflavoro da quindici anni rappresenta un punto di riferimento importante, e si conferma associazione datoriale che tutela e promuove gli interessi delle piccole e medie imprese italiane. A guidarla è il presidente nazionale Roberto Capobianco.

Presidente Capobianco, in occasione della XV Assemblea Nazionale avete proposto il cosiddetto “Salva Impresa”. In cosa consiste tale misura? 

“Quello che chiediamo è una riforma che trasformi gli ammortizzatori sociali da ultima spiaggia a trampolino di rilancio per imprese e lavoratori. Serve una riforma coraggiosa che renda la cassa integrazione uno strumento attivo e restituisca centralità a chi produce e crea lavoro. In tal senso proponiamo una misura di civiltà, il cosiddetto Salva Impresa, con cui restituire dignità, fiducia e futuro a chi ogni giorno rischia in prima persona per tenere viva l’economia reale, perché un Paese che tutela solo chi perde il lavoro ma non chi lo crea finisce per indebolire sé stesso. Con il Salva Impresa vogliamo restituire dignità, fiducia e futuro a chi ogni giorno rischia in prima persona per tenere viva l’economia reale. Tre sono gli assi del nostro Salva Impresa: primo, una cassa integrazione attiva, con lo Stato che sostiene i contributi e i lavoratori che restano in azienda senza fermare la produttività; secondo, una liquidità immediata, senza lungaggini né dinieghi bancari, per saldare i creditori e rilanciare l’attività; terzo, qualora l’impresa non riuscisse a ripartire, un’indennità di rischio imprenditoriale di due anni per l’imprenditore e la sua famiglia, come avviene con la NASpI per i lavoratori rimasti senza occupazione”.

La Manovra finanziaria prevede incentivi per i rinnovi contrattuali. Condivide tale misura? 

“La previsione dei nuovi rinnovi contrattuali dal 2026 è un incentivo al dialogo e alla responsabilità a tutela di milioni di lavoratori del commercio e del terziario che per anni sono rimasti senza aumenti perché i contratti non venivano rinnovati. La misura sulla detassazione è un punto di partenza importante, che va affiancata da una riforma strutturale della rappresentanza. Noi abbiamo presentato una proposta chiara: certificare la qualità dei contratti collettivi, in modo da distinguere quelli veri da quelli pirata. È l’articolo 4 del nostro progetto di legge del 2023. Significa che solo i CCNL coerenti con i contratti più applicati – quelli rilevati e certificati dal CNEL con un lavoro serio e trasparente – potranno beneficiare degli sgravi. È il modo più efficace per combattere il dumping contrattuale e per assicurare che le agevolazioni vadano a chi rispetta davvero i lavoratori, non a chi usa i contratti come strumento di concorrenza sleale. Le imprese e i lavoratori chiedono risposte come: salari giusti, tempi rapidi, regole chiare. Ringraziamo il Governo per aver aperto la strada. Ora tocca a noi, parti sociali, dimostrare che la contrattazione può essere moderna, meritocratica e trasparente”.

Nelle scorse settimane lei ha affermato una frase molto forte: “Il diritto allo sciopero è sacro, ma in Italia è spesso ostaggio di sindacati”. Perché questa critica? 

“Lo sciopero si sta progressivamente trasformando da un diritto costituzionale in uno strumento di ricatto politico, scaricando sulle imprese e sul sistema produttivo costi che il Paese non può più permettersi. I numeri che emergono dalle nostre analisi parlano chiaro: con 1.129 proteste all’anno, pari a 3,1 scioperi ogni giorno, l’Italia detiene un primato mondiale che grava pesantemente su economia, competitività e servizi essenziali. L’impatto complessivo di questo fenomeno ha un peso enorme: 5,5 miliardi di euro l’anno tra danni diretti e indiretti, con una perdita di produttività per le imprese stimata tra 1,8 e 2,4 miliardi e minori entrate per lo Stato comprese tra 580 e 810 milioni di euro. Le imprese chiedono stabilità e un clima costruttivo che consenta di programmare investimenti e tutelare davvero l’occupazione. È tempo che tutti, sindacati compresi, si assumano la responsabilità di contribuire allo sviluppo del Paese anziché frenarlo”.

Lei recentemente è intervenuto in parlamento europeo per denunciare la grave carenza di manodopera nel settore delle costruzioni. Ci fornisce qualche numero? 

“Entro il 2030 in Europa mancheranno oltre 2,7 milioni di lavoratori e in Italia quattro profili su dieci sono già oggi introvabili. Senza operai i cantieri non partono e gli investimenti restano sulla carta. Oltre il 23% delle morti sul lavoro avviene in edilizia, con lavoratori di 60-65 anni ancora impegnati in mansioni pesanti. La formazione non funziona e le retribuzioni non sono attrattive. Le linee di intervento che abbiamo richiesto sono quattro: competenze certificate nel settore attraverso una patente a crediti europea; fondi UE legati alla formazione reale nei cantieri; ruolo centrale delle parti sociali; e un sistema che metta al centro sicurezza, welfare obbligatorio di settore e il ruolo dei lavoratori anziani come tutor dei giovani, per non disperdere la loro esperienza e, al tempo stesso, sottrarli al lavoro usurante”.


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