Editoriale

A Natale siamo tutti più stronzi

di Tommaso Cerno -


La verità è che a Natale siamo tutti più stronzi, altro che più buoni come vorrebbe il proverbio. E lo dimostra lo scontro politico sul Mes alla vigilia del voto della manovra in Parlamento. Una rissa prefestiva evitabile da parte di un Paese che negli ultimi tre governi, se avesse voluto, poteva già firmare quel Fondo Salva Stati che a me fa paura.

Speriamo arrivi presto la festa della verità, il Carnevale, perché a sentire il rito natalizio delle polemiche viene il voltastomaco. E il Messia, diventa quello che è sempre stato il Mes-sia, come abbiamo raccontato oggi nel nostro servizio di copertina. Un fondo pieno di bugie con una storia tutta italiana, come ci spiega molto bene uno dei suoi oppositori della prima ora, l’economista Fabio Dragoni nella sua rubrica qui a fianco.

Una realtà che, alla fine della fiera, è molto più semplice di come appare. Perfino per uno come me che nutre da sempre un pregiudizio ignorante nei confronti dell’economia, dei suoi manuali e dei suoi cantori (eccezion fatta per taluni, Dragoni per esempio, non fosse altro che per la sua schiettezza e per quell’accento toscano che me lo fa sembrare dantesco).

Digressioni antropologiche a parte, si tratta di una linea di credito che andrà restituita. Ha delle regole ferree. Una parte di queste regole riguardano il prima, cioè cosa devi fare prima di averlo. Le altre il dopo, cioè cosa devi fare per poterlo restituire senza incidenti deflagranti con l’Europa, tali da ridurti in brandelli il Paese e farti finire in quel limbo di democrazia finanziaria in cui finì la Grecia all’epoca di Tsipras e compagnia cantante. L’Italia, che aveva approvato le modifiche durante il governo Draghi, dove tutti i partiti tranne quello dell’attuale premier Giorgia Meloni stavano in maggioranza, pur guidati dal grande professore-banchiere che in Europa ha il rispetto di un semidio e che è candidato in pectore – checché ne dicano qui – a prendere il posto di Ursula Von del Leyen il prossimo anno, si era guardata bene dal votarlo davvero. E tempo ne aveva, se non altro per il fatto che fino alla settimana prima della crisi di governo Draghi, Letta e Conte erano convinti che la legislatura sarebbe andata a scadenza naturale, sei mesi e rotti dopo.

Eppure, all’epoca del governissimo di emergenza nazionale con a capo Supermario e con le mani di Sergio Mattarella imposte sul capo dei ministri, non c’è memoria di tutta questa fretta. Né pare di ricordare che qualcuno abbiamo agitato lo spettro del Mes nella campagna elettorale. Nemmeno Letta nella sua scelta bicolore: scegli il Mes o scegli il non Mes. Zero. E questo per il motivo più semplice del mondo: perché le condizioni che oggi impone il Mes sono fuori dal tempo. Pensate e votate in un altro contesto storico. E Meloni sta cercando di modificarle. Di renderle più utili all’Italia, soprattutto per la parte che riguarda il patto di stabilità degli stati, il rapporto deficit/pil e le conseguenti strettoie delle manovre finanziarie. E questo tentativo non solo è legittimo, ma è utile al Paese. Se arriverà a buon fine. Utile anche alla Germania e alla Francia. Migliorativo del fondo stesso. E, visto il vento che tira e le elezioni alle porte, pure possibile. o forse è meglio firmare a scatola chiusa (anzi aperta)? Ma a Natale certe cose non si dicono. Perché bisogna fare la guerra della Finanziaria. E darsi addosso. Stronzi come siamo. E a dicembre di più.


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