Big Pharma e libertà individuali, l’obbligo che non obbliga
“Il Trattato Pandemico non esiste”. “L’Italia non lo firmerà”. “La sovranità sanitaria è intatta”. Com’era prevedibile, chi fino a ieri negava la sua esistenza oggi minimizza, ridimensiona o cambia versione. Un copione già visto! La verità è che l’Assemblea Mondiale della Sanità dell’OMS ha adottato ufficialmente il Trattato. I governi europei, inclusa l’Italia, hanno subito dichiarato che “non comporta vincoli giuridici vincolanti”. Ma esperti e giuristi segnalano una “pericolosa ambiguità”. La stessa che, durante la pandemia del 2020, non “imponeva”, ma “orientava” e “condizionava”. Il meccanismo è chiaro. “Non abbiamo scelta, ce lo chiede l’OMS” diventa la foglia di fico ideale per scaricare responsabilità e chiudere ogni discussione. Non servono leggi, bastano il clima di paura, la pressione mediatica e la delega in bianco a comitati tecnico-scientifici sovranazionali. Cosa cambia, allora? All’apparenza, poco. In sostanza, molto. Dal punto di vista legale, il Trattato non impone nuovi obblighi vincolanti, non intacca la sovranità nazionale, ma introduce “un’architettura pandemica globale” in cui tutto è più strutturato, standardizzato e controllato. Anche la revisione del “Regolamento Sanitario Internazionale (RSI)”, che entrerà in vigore nel 2026, rafforza il potere dell’OMS nel dichiarare emergenze sanitarie e nel coordinare la risposta internazionale. Il nuovo assetto prevede che gli Stati condividano in modo obbligatorio dati sanitari, informazioni su patogeni emergenti e aggiornamenti normativi, un modello di revisione tra pari e controlli incrociati. Tutto ciò senza sanzioni formali, ma con un forte peso politico e morale. Durante la pandemia, i vaccini contro COVID-19 si sono rivelati un affare colossale per Big Pharma. Solo nel 2021, Pfizer ha incassato 36,8 miliardi di dollari dal Comirnaty, un record per un singolo prodotto farmaceutico. Mentre Moderna, azienda sconosciuta prima del 2020, ha incassato 17,7 miliardi di dollari con Spikevax. Una meta-analisi del 2022 (A Systematic Review and Meta-analysis of the Association Between SARS-CoV-2 Vaccination and Myocarditis or Pericarditis) ha documentato un aumento di eventi immuno-mediati gravi, come miocardite e pericardite, in particolare nei giovani maschi dopo la seconda dose dei vaccini mRNA. I dati confermano una correlazione statisticamente significativa che non può essere ignorata. Un’altra meta-analisi del 2023 (Autoimmune skin disorders and SARS-CoV-2 vaccination – a meta-analysis) ha rivelato un’associazione tra la vaccinazione anti COVID e l’insorgenza o l’aggravamento di malattie infiammatorie e autoimmuni cutanee. Negli Stati Uniti, lo Stato del Kansas ha citato in giudizio Pfizer con l’accusa che il colosso farmaceutico avrebbe nascosto effetti collaterali gravi come miocarditi, pericarditi e decessi e avrebbe gonfiato i dati sull’efficacia del vaccino, sostenendo che prevenisse l’infezione “pur sapendo che non era vero” (Kansas sues Pfizer, saying it misled the public over COVID-19 vaccine – MarketWatch). Documenti del Freedom of Information Act rivelano poi che, nei primi tre mesi di distribuzione del vaccino, Pfizer registrò 1.223 decessi e 158.893 eventi avversi. Tuttavia, l’azienda dichiarò pubblicamente che non vi erano “preoccupazioni significative per la sicurezza” fino a sei mesi dopo la seconda dose (Kansas Sues Pfizer for “Suppressing the Truth” About COVID Shot – Liberty Counsel). Il Texas lo scorso gennaio ha avviato una causa simile, sostenendo che il colosso farmaceutico statunitense abbia cospirato con piattaforme social per censurare critiche e informazioni veritiere sul vaccino, etichettandole come “disinformazione” (Attorney General Ken Paxton Continues Lawsuit Against Pfizer for Knowingly Misrepresenting the Efficacy of the COVID-19 Vaccine | Office of the Attorney General). In Italia, il Ministero della Difesa ha riconosciuto un indennizzo a un carabiniere di 39 anni colpito da trombosi grave dopo la somministrazione di AstraZeneca. Il nesso causale è stato ufficialmente ammesso dallo Stato. Le grandi case farmaceutiche (AstraZeneca, BioNTech, Johnson & Johnson, Moderna, Novavax e Pfizer) sono state duramente criticate per aver rifiutato di condividere know-how e brevetti e per aver privilegiato la distribuzione ai paesi più ricchi. Amnesty International ha parlato apertamente di crisi globale dei diritti umani. La Commissione Europea è sotto accusa per la mancata trasparenza nei contratti con i produttori di vaccini e la Corte di Giustizia UE ha ribadito la responsabilità diretta dei produttori per eventuali danni da difetti di prodotto, senza scappatoie contrattuali. Nel clima di emergenza, i diritti individuali sono stati messi in secondo piano. Eppure, la Costituzione (artt.1,2,3,13,32), la Legge 219/2017 sul consenso informato e il Regolamento europeo GDPR (art. 9) tutelano il diritto a non rivelare i propri dati sanitari e a rifiutare qualsiasi trattamento, inclusi vaccini e test anticorpali. La realtà vissuta da milioni di cittadini, lavoratori e studenti tra 2020 e 2022 racconta un’altra storia. La prevenzione sanitaria dovrebbe sempre essere frutto di una scelta consapevole, fondata su dati accessibili. Dove sono i dati epidemiologici che dimostrano e giustifichino la profilassi vaccinale di massa? Il nuovo assetto non impone con la forza, ma “induce” con la pressione sociale e istituzionale. E chi dissente? Viene etichettato come “no vax”, “complottista” o “negazionista”. Oggi più che mai, la domanda da porsi è: chi decide davvero per la nostra salute?
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