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“Chat GPT, ecco perché l’Italia è un passo indietro”

di Giovanni Vasso -


La pronuncia del garante della privacy ha portato al blocco, in Italia, di ChatGpt. L’intelligenza artificiale ha “salutato” il pubblico italiano e ha lasciato un biglietto (ovviamente virtuale) sul suo sito. “Ci vediamo presto”. Giusto il tempo di recepire i regolamenti e le osservazioni dell’authority. Oppure no. Fatto sta che il dibattito, rapidamente, è passato dalla questione principale sollevata dal Garante (ovvero dal tema della raccolta dei dati) a quella politica ed economica sulle conseguenze che potrebbero esserci se l’Ai dovesse prendere il controllo delle catene di montaggio delle professioni e dei lavori, specialmente quelli che si svolgono in ambito digitale. Dai copywriter fino ai programmatori e agli analisti di dati. Ma secondo alcune stime, l’80 per cento dei lavoratori nel futuro prossimo venturo avranno a che fare con l’intelligenza artificiale. Insomma, un’altra rivoluzione è alle porte. E come si sta facendo trovare l’Italia di fronte a questo ennesimo appuntamento epocale? Secondo Federico Ferrazza, direttore di Wired Italia, il nostro Paese si approccia alla modernità coi difetti di sempre, strizzando l’occhio a soluzioni chiusuriste che, alla lunga, potrebbero pesare. E molto. E le cose, in Europa (ma per altre ragioni), potrebbero andare (molto) meglio.
Direttore Ferrazza, cosa è successo con ChatGpt e Open AI?
Il Garante della privacy aveva dato del tempo a ChatGpt, mi pare venti giorni, per mettersi a posto ma loro hanno deciso di chiudere. Credo che, prima di arrivare alla richiesta di blocco sarebbero stati necessari altri passaggi. Magari di confronto, di discussione pubblica. Il blocco, per me, è stata una mossa un po’ avventata. Soprattutto per la comunicazione.
In che senso?
Viviamo un momento storico in cui il governo ogni giorno ne dice un paio contro l’innovazione. Dalle auto elettriche alla carne da laboratorio, dalle rinnovabili alle parole inglesi. Sembra quasi che che ogni cosa nuova sia vista di cattivo occhio. Temo che la decisione del Garante, che sta dentro un discorso di rispetto delle regole sui dati, sulla raccolta di informazioni che non sarebbe avvenuta in modo proprio trasparente dal punto di vista della tutela della privacy, possa finire in una discussione diversa. Alla fine, sembra proprio che l’Italia sia contro il nuovo. Ecco perché avremmo dovuto avviare una discussione più ampia.
L’innovazione comporta dei costi. Specialmente in termini di posti di lavoro…
Però questa è la storia del mondo. È accaduto anche con l’automobile, con le macchine. Ogni volta che sono arrivate delle nuove tecnologie, si sono avuti degli sconvolgimenti forti.
Un po’ come in “Furore”, il grande romanzo americano di Steinbeck che ruota attorno al trattore e all’effetto che ebbe sulle masse contadine dell’epoca…
Esatto! Ma non per questo uno si chiude. L’innovazione non si combatte a colpi di legge. Specialmente in un mondo globalizzato come il nostro. Così condanni il Paese all’arretratezza, mentre il pianeta va avanti. La chiave è un’altra: la società deve saper governare le crisi che queste tecnologie potrebbero portare. Certo, scompariranno dei lavori. Ma è compito della società, ripeto, dalle istituzioni fino alle aziende, farsi carico di questi cambiamenti.
Che rischio deriverebbe, all’Italia, da un rapporto conflittuale con l’innovazione?
Ci sono due vie possibili. O ci si chiude oppure si decide a governare, collettivamente con gli altri Paesi, i grandi processi che stanno avvenendo. Magari con l’Unione Europea. Non è che si può decidere di abolire l’intelligenza artificiale per decreto. Così come si sta facendo, per esempio, con la carne da laboratorio, che chiamano sintetica. Penso che, constatato il fatto che l’Italia non abbia mai davvero investito nell’innovazione, se non in pochi casi, la strategia giusta sarebbe nel puntare a colmare il divario. Ma nei fatti stiamo difendendo la nostra arretratezza. Al Paese servono azioni concrete mirate al futuro e non mi sembra che ci siano. Puoi decidere di far parte del cambiamento oppure scegliere di non farne parte. Così come ha fatto la Corea del Nord insieme a qualche altro Paese del mondo.
Che ruolo sta svolgendo, oggi e su queste tematiche, l’Unione Europea?
Vuole avere un ruolo. Ma, nei fatti, sembra che in Europa non si ci sia decisi a giocare di squadra. Si dovrebbe parlare, insieme, di una politica di sviluppo industriale comune, del ruolo dell’innovazione, della ricerca, della formazione. Dovrebbero essere temi centrali nelle discussioni europee. Ma di tutto questo non si parla. Nell’Ue si parla solamente di migranti, si parla solamente di moneta, si parla tanto di finanza. Ma delle questioni chiave per lo sviluppo futuro dei nostri territori non se ne parla.
C’è chi teme che, con l’intelligenza artificiale, il mondo non sarà più quello di prima. Perché il tema dell’Ai, oltre che dell’innovazione, ci suona così sensibile?
Vorrei far notare che il digitale ha già rivoluzionato le nostre vite, basta vedere quante cose sono cambiate negli ultimi 15-20 anni. Da internet allo smartphone, il cambiamento è sotto gli occhi di tutto. Questo trend, sicuramente, continuerà. Ci impressiona ChatGpt perché sembra umana. Ma non solo per questo. Ci impressa che, ad esempio, impiega trenta secondi a scrivere un testo per scrivere il quale noi ci impiegheremmo un’ora. Penso che cambierà, con l’intelligenza artificiale, il rapporto con il tempo. Ma è un processo, questo, che si è già innescato. L’importante, ripeto, è che la società sia pronta e preparata a gestire le crisi che potranno arrivare. Anche sul fronte economico e su quello legato al mondo del lavoro.
Si parla, già da tempo, dell’idea del reddito universale…
Sicuramente si tratta di un progetto che può avere degli aspetti positivo. Però, è anche vero che non possiamo condannarci a vivere in una società in cui metà delle persone, che poi sarebbero sempre le stesse, percepiscono il reddito universale e l’altra metà, invece, lavora.


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