Politica

Che liberazione

di Edoardo Sirignano -

SERGIO MATTARELLA, GIORGIA MELONI PREMIER


“Noi incompatibili con qualsiasi nostalgia”. La premier Meloni, attraverso una lettera inviata al Corsera, risponde a chi fino a ieri ha accusato il suo governo di essere fascista. Ricorda agli italiani come lo scopo della Costituzione sia appunto quello di unire e non dividere. Non utilizza, pertanto, giri di parole verso coloro che, in occasione del 25 Aprile, hanno stilato la lista di chi sia degno o meno di partecipare alle varie cerimonie.

La missiva DA STATISTA

Per il presidente del Consiglio, che riprende le parole di Augusto Del Noce, si tratta di una sorta di “arma di esclusione di massa” che va solo a indebolire valori che invece dovrebbero difesi. Superando ogni steccato partitico, Giorgia fa riferimento a Luciano Violante, che nel suo discorso di insediamento alla Camera aveva ribadito come una certa “concezione proprietaria” della lotta di Liberazione, nei fatti, le impediva di diventare patrimonio collettivo. Un concetto, per la politica romana, ripreso da Silvio Berlusconi che definì questa ricorrenza come una festa della libertà da chi appunto voleva farla passare come bandiera di una sola parte. Non a caso, Meloni intende accostare il proprio nome a quello della partigiana Paola Del Din. Un nome richiamato, su queste colonne, qualche giorno fa da Carlo Giovanardi che in un’intervista aveva spiegato la necessità di ricordare appunto una resistenza socialista, cattolica e monarchica, spesso poco valorizzata.

Dalle parole ai fatti

A tutte le persone che hanno perso la vita per libertà e democrazia, un’emozionata madre dedica le proprie lacrime sull’Altare della Patria. Ad accompagnarla non c’è uno qualunque, ma quella seconda carica dello Stato, che fino a qualche giorno fa in tanti hanno criticato e che invece ieri si è recata nel campo di concentramento di Theresiestadt per deporre una corona al monumento dedicato a Jan Palach. Una Meloni, sempre più statista e meno militante, vuole dare un messaggio chiaro al Paese e perché no a quel Presidente della Repubblica, che mai le ha fatto mancare la fiducia nei primi mesi di governo. Ecco perché tutta la maggioranza rivendica le proprie convinzioni “antitotalitarie”. Il braccio destro della leader di FdI Francesco Lollobrigida rinvia gli appuntamenti del G7 e va a Subiaco per partecipare alla cerimonia in onore dei martiri di Cicchetti. Il ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano, dopo aver aperto le porte dei musei, consegna a un omaggio alla stele dedicata a Salvo d’Acquisto in piazza Carità a Napoli. Il titolare del dicastero che si occupa di made in Italy Adolfo Urso, insieme al collega della Farnesina Antonio Tajani, partecipa all’iniziativa organizzata alle Fosse Ardeatine, dove c’è sia la Cgil di Maurizio Landini che quell’Anpi, che fino a ieri ha criticato le ambiguità del governo. La priorità è appunto dare un segnale di unità in un momento non semplice per il Paese, considerando la guerra in Ucraina e il clima particolarmente caldo che si registra in diverse zone del pianeta. Un segnale di distensione vuole essere anche la partecipazione del ministro alla Cultura Valditara agli eventi milanesi. Un gesto per dire che il corteo dei 100mila di Milano non è composto solo da una parte.

Opposizione mature

A parte il fazzoletto rosso di Elly Schlein e qualche esternazione del sindaco Sala o di pochi nostalgici del Pci, a cui non è bastata la lettera del presidente del Consiglio per fare chiarezza, la piazza lombarda appare tutt’altro che divisiva. Si canta “Bella Ciao”, ma certamente non si respira quel clima di tensione, che qualcuno sperava alla vigilia di questo 25 aprile. Le stesse parole della nuova segretaria del Nazareno non sono tanto al vetriolo, come qualcuno s’aspettava. Si chiede solo un chiarimento, come nel caso del capogruppo Francesco Boccia, che pur apprezzando le parole di Giorgia, non riesce a capire perché la premier non riesca ancora a utilizzare il termine antifascista. Una cosa è certa le polemiche sterili degli ultimi giorni sembrano essere superate. Pare quasi che il solo Ruotolo si ricordi di fare le pulci al governo.
È uno dei pochissimi a utilizzare le manifestazioni per scagliare dardi verso il primo inquilino di Palazzo Madama che definisce “provocatore seriale”. Discorso diverso, invece, vale per il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, che dopo aver visitato il Museo Storico della Liberazione di via Tasso, nella capitale, addirittura apprezza le parole della prima donna del centrodestra, che a suo parere ha ormai “rinnegato il fascismo” e quindi chiuso quella polemica, per qualcuno strumentale, sollevata dal suo compagno di partito Gianfranco Fini. A difendere le tesi della premier della Garbatella anche il pariolino Carlo Calenda per cui è un bene che la Meloni abbia riconosciuto che “forse oggi va fatto uno fatto uno sforzo da parte di tutti, invece di sottolineare le divisioni, di cercare di rimetterle insieme”.

I manifesti della vergogna

L’unica nota negativa di una giornata, tutto sommato all’insegna della riconciliazione, di quel senso di compattezza, che ci ha consentito appunto di liberarci dall’invasore, sono soltanto dei manifesti poco felici comparsi a Napoli. Nel capoluogo partenopeo ci sono delle affissioni ritraenti la premier e alcuni ministri a testa in giù. Un gesto che non blocca gli eventi previsti in ogni angolo dello stivale, ma che impone una riflessione sui valori della Costituzione, non sempre rispettati. Non a caso il presidente della Repubblica, da Cuneo, dalla casa-museo del partigiano Galimberti, mette l’accento su su quel testo che nei fatti mette la persona e il senso di comunità, intesa come insieme delle diversità, davanti finanche allo stesso Stato.

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