PRIMA PAGINA – Dazi, lo sgambetto delle toghe
C’è un giudice a Manhattan: anzi, non un semplice giudice ma un’intera Corte, la Corte del Commercio internazionale degli Usa. E mette lo sgambetto ai dazi, inguaiando Donald Trump. O, almeno, ci prova. Le tariffe internazionali, hanno sentenziato le toghe, non s’hanno da fare. Né ora, né auspicabilmente mai. Perché, asseriscono i magistrati, il presidente Usa ha utilizzato una legislazione straordinaria come l’International Emergency Economic Powers Act del 1977 senza, però, che il deficit commerciale sbandierato dalla Casa Bianca rendesse concreta la “minaccia insolita e straordinaria” che è requisito essenziale perché un presidente possa avvalersi dei poteri straordinari. Attenti, però. Non tutti i dazi cadranno né tutte le tariffe saranno cassate dalla sentenza del tribunale di New York. Già, perché i sovrapprezzi del 25% imposti su auto, ricambi, acciaio e alluminio rimarranno comunque in vigore per il solo fatto d’essere stati adottati in nome di un’altra legge, il Trade Expansion Act. Manco a dirlo, Trump s’è infuriato. Il presidente non ha la minima intenzione di desistere. Dopo quella sui migranti e i rimpatri, un’altra sentenza arriva a mettergli i bastoni tra le ruote. La Casa Bianca non resterà a guardare e, anzi, annuncia guerra totale: “Questi giudici non eletti non hanno l’autorità di decidere come gestire adeguatamente un’emergenza nazionale”, ha tuonato il portavoce Kush Desai. Che ha aggiunto: “Il presidente Trump ha giurato di mettere gli Stati Uniti al primo posto e l’amministrazione si impegna a utilizzare tutte le leve del potere esecutivo per rispondere a questa crisi e ripristinare la grandezza americana”. La prima risposta alla sentenza che inguaia Trump è arrivata dall’Asia. Prima ancora che aprisse bocca il governo cinese, i mercati locali sono letteralmente schizzati. Poi Pechino ha ripetuto il mantra che va ribadendo da settimane: “Non ci sono vincitori in guerre dei dazi o guerre commerciali. Il protezionismo fa male agli interessi di tutti. La Cina sollecita gli Usa ad ascoltare le voci razionali della comunità internazionale e degli attori a livello nazionale e ad annullare completamente queste misure tariffarie unilaterali e ingiustificate”. Sarà, ma Washington in tutta risposta ha deciso di bloccare l’export di tecnologia strategica nel settore aeronavale e dell’hitech informativo (e cioè i “soliti” chip) verso il Dragone. Una decisione che mette in discussione pure il già fragile equilibrio che sembrava essere stato raggiunto dopo i colloqui di Ginevra tra Usa e Cina. Anche a Bruxelles la notizia rimbalzata da New York ha destato entusiasmi che, però, si sono un po’ affievoliti, insieme alle contrattazioni nelle Borse continentali, quando s’è compreso che le tariffe su acciaio e auto sarebbero rimaste in vigore. Ursula von der Leyen da Aquisgrana dove ha ritirato il premio Carlomagno ha detto che sogna di creare un’Europa libera e indipendente e ha fatto appello alle imprese: “Il mondo degli affari scelga l’Europa. Abbiamo un piano generale per farlo. Un piano che pone gli investimenti in innovazione, intelligenza artificiale e nuove tecnologie al centro del nostro modello di business. Un piano che si prende cura dell’ambiente, delle risorse naturali e della salute delle generazioni future. Un piano che ravviva le nostre tradizioni industriali europee”. Più che un invito, una zeppata a Trump: “Vediamo Paesi di tutto il mondo che si rivolgono a noi per fare affari insieme, perché siamo affidabili e seguiamo regole comuni. Dall’India all’Indonesia. Dal Sudamerica alla Corea del Sud. Dal Canada alla Nuova Zelanda”. Mano tesa ma non troppo: “Naturalmente, vogliamo consolidare il nostro partenariato commerciale con gli Stati Uniti. Lavoreremo sempre per questo. Ma sappiamo anche che l’87% del commercio globale avviene con altri Paesi, tutti alla ricerca di stabilità e opportunità. E l’Europa può offrirle. Ed è per questo che c’è così grande interesse a scegliere l’Europa. Perché un’Europa indipendente non sarà mai un continente isolato, ma sempre aperta e sempre pronta a interagire con il mondo”. Sui dazi, però, le Borse europee non sono così ottimiste e difatti hanno chiuso col segno meno. Secondo gli analisti, poi, Trump potrebbe facilmente aggirare la sentenza della Corte del commercio internazionale. “La Casa Bianca troverà un modo di continuare a perseguire la sua agenda sulle politiche commerciali, esistono diversi meccanismi nel Trade Act del 1974 che possono essere utilizzati per aggirare i tribunali, e non c`è nulla che possa frapporsi a Trump nel rilanciare i suoi dazi su settori specifici, che non vengono bloccati – spiega Matthew Ryan analista Ebury – dalla decisione del tribunale”. In fondo, la notizia che avrà dispiaciuto di più Trump, ieri, sarà stata un’altra: e no, non c’entra la polemica sul “taco” e sull’acronimo che farebbe di The Don un negoziatore spericolato e, al tempo stesso, spaurito come un pollo. No, gli avrà fatto più dispiacere la formalizzazione dell’addio di Elon Musk. Un incarico a termine, al Doge, che sta per scadere con un po’ d’amarezza da parte del patron di X che avrebbe voluto una legge di bilancio più snella e con meno spesa. La vicinanza politica tra i due tycoon, però, rimane: lo giura Andrea Stroppa.
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