Economia

Crisi Marelli: Gentiloni non intervenne, patata bollente a Urso

Sei anni fa quando l'azienda strategica dell'automotive italiano fu venduta ai giapponesi del gruppo Nissan, Gentiloni non chiese garanzie

di Angelo Vitale -


La crisi della Marelli parte dal 2018, ci tiene a sottolinearlo il ministro Adolfo Urso che oggi ipotizza pure il golden power per salvarne il valore nell’automotive italiano.

Cosa accadde allora, cosa succede oggi

Magneti Marelli fu venduta da FCA (il passaggio intermedio della trasformazione di Fiat in Stellantis) alla giapponese Calsonic Kansei (Nissan) nel 2018, presidente del Consiglio era il dem Paolo Gentiloni, che non intervenne. Cisl e Uil furono cautamente ottimisti, la Cgil guidata allora da Susanna Camusso gridò invece alla cessione di “un gioiello di famiglia” e già l’anno prima aveva chiesto invano l’intervento del governo, sempre con Gentiloni a Palazzo Chigi.

Oggi – racconta la Uilm – “Marelli ha aperto il Chapter 11, una procedura di ristrutturazione del debito di diritto statunitense. Ciò dovrebbe permettere il taglio del debito finanziario, con un cambio di proprietà e con continuità aziendale”. Il ricorso al Chapter 11 è stato scelto come strategia per gestire un debito molto elevato (circa 4,9 miliardi di dollari) e per ottenere nuova liquidità da parte dei creditori (1,1 miliardi di dollari in finanziamenti DIP, Debitore in Possesso), con l’obiettivo di convertire il debito in equity e ristrutturare la società senza interrompere le attività operative.

Il nodo Stellantis, principale cliente italiano

Il nodo qui da noi, avverte sempre la Uilm, è però il “rapporto con il suo principale cliente italiano, vale a dire con Stellantis. Marelli è difatti il più importante produttore di componenti per auto presente in Italia con circa 6mila dipendenti ed è stata investita appieno dalla crisi europea dell’automotive, crisi accentuata da una transizione mal gestita.I timori riguardano tuttavia possibili problemi coi fornitori capaci di incidere sulla normalità produttiva”.

“Alcuni stabilimenti – è la denuncia -, a iniziare da Melfi, Sulmona, Bari e Caivano, stanno facendo ampio ricorso alla cassa integrazione, anche a causa della dipendenza in tutto o in parte da Stellantis: sarà decisiva per il loro futuro la assegnazione di nuove forniture, o quanto meno la precisazione dei volumi delle forniture già pattuite”.

Cosa pensa di fare Urso

Urso al Mimit – se ne riparlerà a fine luglio o all’inizio di agosto, intanto nelle fabbriche Marelli lungo la penisola si svolgeranno assemblee – riflette su “tre fronti: esercitare una moral suasion per garantire la continuità delle commesse, sensibilizzare eventuali attori industriali a partecipare alla procedura americana e valutare, se necessario, l’uso della golden power, strumento che ci consentirebbe di tutelare l’operatività e la strategicità dell’azienda nel comparto dell’automotive nazionale”.

E sottolinea che quando tutto questo iniziò, il governo non chiese “specifiche garanzie”.


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