Femminismo estremo contro la cucina italiana: quando il patriarcato arriva nel piatto
Secondo il femminismo radicale la cucina italiana sarebbe patriarcale e colonialista. Un’accusa grottesca che colpisce identità, tradizione e memoria culturale.
Quando il patriarcato incontra gli spaghetti
La situazione è ufficialmente sfuggita di mano.
Siamo oltre il ridicolo, oltre il grottesco, oltre persino la caricatura.
Secondo un’ attivista femminista, Valeria Fonte, la cucina italiana sarebbe uno “strumento del patriarcato e del colonialismo”. Ora, qualcuno dovrebbe spiegare cosa diavolo c’entri il patriarcato con un piatto di spaghetti al pomodoro.
La cucina italiana, piaccia o no, è storicamente femminile. Non nasce nei palazzi del potere, ma nelle case. È stata trasmessa tra donne: madri, nonne, zie. È la cucina che ha permesso di tenere insieme famiglie intere, spesso in condizioni di povertà e sacrificio. Altro che dominio maschile.
Ci spiace per la signora Fonte, ma la cucina italiana è patrimonio dell’umanità.
Il patriarcato non passa dal ragù che sobbolle la domenica mattina.
Non si annida nelle lasagne o nelle polpette.
Confondere strutture di potere con tradizioni popolari non è critica sociale: è analfabetismo concettuale.
Questo femminismo non analizza: accusa. Non distingue: demonizza. E soprattutto non libera nessuno.
Dalla cucina “colonialista” alla demolizione dell’identità
Ancora più grottesca è l’accusa di colonialismo.
La cucina italiana è locale, territoriale, povera. Nasce dalla scarsità, non dal dominio. È figlia dell’ingegno, non dell’imperialismo. Altro che coloniale: è radicata, domestica, profondamente popolare.
Il problema, allora, non è il cibo.
Il problema è ciò che rappresenta: la tradizione, la memoria.
Il bersaglio di questo femminismo ideologico non è più il “patriarcato”, parola ormai svuotata e usata come clava, ma l’identità italiana stessa. Tutto ciò che non può essere riscritto, decostruito, rieducato diventa automaticamente sospetto.
E così scopriamo che: la nonna che impasta alle sei del mattino è complice del sistema,
la mamma che cucina per amore è alienata dal colonialismo,
la pasta al forno della domenica è oppressione strutturale a strati,
il ragù che sobbolle per ore non è tradizione ma mansplaining culinario,
la carbonara è maschilismo tossico con uovo,
l’olio extravergine è privilegio eteropatriarcale spremuto a freddo.
Però attenzione:
se un uomo cucina è “chef”,
se una donna cucina è “retaggio culturale”.
A questo punto viene spontaneo chiederselo: la prossima a essere sanzionata sarà Nonna Papera con il suo manuale di cucina?
Apologia del patriarcato a colpi di crostate e tortellini.
La forchetta ideologica nel piatto
Care donne, applicare ossessivamente categorie ideologiche a tutto, persino a ciò che abbiamo nel piatto, non è emancipazione. È schizofrenia ideologica.
Ed è soprattutto un insulto alle donne reali.
Quelle che hanno cucinato non per oppressione, ma per amore, responsabilità, sopravvivenza.
Quelle che non hanno mai chiesto di essere “liberate” da un piatto di pasta.
La cucina italiana è patrimonio UNESCO, ma per qualcuno diventa strumento di dominio solo quando non serve più come simbolo identitario.
Se continuerà così, non dovremo più preoccuparci del patriarcato.
Basterà guardare cosa resta della nostra identità dopo che l’avranno smontata, pezzo per pezzo, a colpi di forchetta ideologica.
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