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Difesa: la ricetta di Crosetto, tra limiti di spesa e una sfida visionaria

di Angelo Vitale -


Che Difesa sarà quella cui lavora il ministro Guido Crosetto? “Siamo lontani, molto lontani dall’obiettivo del 2% del Pil per le spese per la Difesa: obiettivo impossibile per il 2024 ma, ad essere sinceri, difficile anche per il 2028”. Le parole ispirate alla pragmatica, nell’audizione davanti alle Commissioni riunite, Difesa della Camera ed Esteri e Difesa del Senato, nell’ambito dell’esame del documento programmatico pluriennale per il triennio 2023-2025 fanno pensare ad un imbuto nel quale l’unica soluzione sarebbe quella di fare le nozze con i fichi secchi.

Ma chi conosce Crosetto ricorda la sua determinazione, che il ministro declina in una nuova visione per la manovra che verrà. “La Difesa – ha detto in Parlamento – è obbligata ad avviare un profondo processo di rinnovamento, che comporterà l’adozione di scelte che hanno bisogno di sostegno politico e finanziario. Le spese per il settore Difesa hanno un valore strategico per il Sistema Paese”. E ha sottolineato che “l’impegno finanziario nel triennio 2023-25 è di 25 miliardi di euro”.

Una sfida che passa attraverso le risorse umane: “E’ importante poi agire sulla componente umana, sia per migliorare l’operatività e la capacità di combattimento, sia per offrire agli uomini e alle donne della Difesa una professionalità per poter realizzarsi al servizio del Paese la strategia che si sta adottando è volta a raggiungere l’equilibrio tra le dotazioni organiche del personale e le esigenze personali”. Da qui, l’esigenza di “superare definitivamente l’obiettivo di contrazione di volume degli organici introdotto dalla legge 244 del 2012, che trovava la sua ratio in un contesto geopolitico oggi completamente anacronistica”.

Su questo, Crosetto rigetta ogni possibilità di contrasto: “Bisogna superare definitivamente la stucchevole polemica, politica e ideologica, che associa alle spese per la Difesa solo un concetto di costo”. E guarda allo “sviluppo di capacità strategiche nei settori spazio e cyber” e all’interazione con Adolfo Urso: “Il ministero della Difesa e il Mimit possono migliorare la cooperazione in termini di industria militare. La Difesa ha già presentato al Mimit un piano sulle attività da sostenere”.

Sulla spesa, si punta a recuperare il tempo trascorso fin qui: “Dopo l’Eurofighter, l’Italia non ha più fatto investimenti che ci abbiano dato una tecnologia rilevante. Ci è mancato il salto tecnologico negli ultimi 10-15 anni e il Global Combat Air Program (iniziativa formalizzata con il Regno Unito e il Giappone nel dicembre 2022 per sviluppare un caccia stealth di sesta generazione, ndr) è quello che ci serve per recuperare questa mancanza. E’ una grande scommessa tecnologica oltre che il tentativo dell’Italia di rientrare come attore primario nel settore aeronautico. E’ una sfida, non una certezza. Ma senza questo progetto rischiamo di spegnerci, e non avere più un futuro. Dovevamo scegliere dei partner che ci dessero tutta la tecnologica che mano a mano scoprivamo, anche se questo è ancora il tema della discussione con il Regno Unito. Al mio omologo britannico ho detto che investiremo un terzo, ma vogliamo avere tutta la tecnologia”.

Crosetto ha poi analizzato il tema della formazione, spesso nei decenni scorsi al centro di polemiche e scandali su aree del Paese sottoposte al vincolo militare e spesso teatro di iniziative finite pure in in inchieste giudiziarie, come quella che nel febbraio 2024 porterà alla sbarra 5 generali, tutti ex capi di stato maggiore, per disastro ambientale colposo nell’area del poligono Teulada in Sardegna. A Crosetto non basta la formazione svolta sul campo dai nostri militari anche in zone del mondo lontanissime dall’Italia nell’ambito della manovra Nato o delle missioni Onu: “Non è possibile pensare alle Forze armate senza addestramento, e quindi servono poligoni dove effettuare le esercitazioni. La Nato dispone di aree addestrative molto estese nell’Europa orientale che permettono di lavorare con grande successo per il personale italiano, ma ci sono costi logistici molto elevati nel portare i soldati all’estero. Non possiamo permetterci di chiudere i poligoni”. Facendo capire, quindi, di volerli conservare tutti in Italia.

La ricetta del ministro passa pure attraverso una rivisitazione della manovra complessiva del governo sul pubblico impiego: Non è possibile affrontare i problemi della Difesa – ha sostenuto in Parlamento – “con le attuali regole del pubblico impiego”. Per attrarre talenti nel settore della Difesa, “occorre pensare che non si può affrontare il mondo che si ha davanti con gli stessi strumenti che valgono per altri comparti e lo stesso vale per il sistema pensionistico. Dovremmo fare concorsi in cui le persone sappiano fin dall’inizio di avere una prospettiva di impiego da soldati. Alcuni tipi di arruolamento devono essere fatti in modo diverso”. Riferendosi, in particolare “ai corpi speciali, il cui lavoro non può essere paragonato a quello del pubblico impiego”.

Una ricetta ambiziosa, finora mai scritta per un settore visto fin qui dalla politica pensando innanzitutto alla gestione dell’ordinario. Una sfida che gli procurerà non pochi ostacoli, fuori ma probabilmente anche dentro la maggioranza di centrodestra. Ma Crosetto è quello che alla vigilia delle consultazioni in Quirinale che poi portarono al governo Meloni, scrisse su Twitter una frase del poeta libanese Kahlil Gibran: “Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità”.


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