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Politica

Saloon manovra: Forza Italia sta con le banche: “No al Dpb”

Tajani. "Roba da Urss", Giorgetti torna di corsa da Washington oggi il Cdm

di Giovanni Vasso -


Come in un film di Sergio Leone. La manovra è il cimitero di Sad Hill. Tutti contro tutti per un pugno di dollari, pardon di euro. Uscito il Dpb, prima del consiglio dei ministri decisivo (che si terrà oggi), volano pistolettate a mezzo stampa. Si litiga, come nel Far West, per il bottino delle banche. Lo sceriffo Antonio Tajani, solitamente (fin troppo) pacato, s’incazzato come e peggio del Tuco Ramirez (riposa in pace, Eli Wallach!) col Biondo Giorgetti. È da poco passato mezzogiorno (ovviamente di fuoco) quando Forza Italia impallina der Minister: “Noi questo Dpb non lo votiamo, né in consiglio dei ministri né in parlamento”. Perché lo ha spiegato proprio Tuco Tajani: “Il ministro Giorgetti mi ha assicurato durante l’ultima riunione che non ci sarà alcuna tassa sugli extraprofitti, che è un concetto da Unione Sovietica. Un conto è fare una scelta condivisa, altro è mettere una tassa che rischia di spaventare i mercati e gli investitori italiani e stranieri. Deve essere un contributo concordato e non imposto così un po’ a capocchia”. E chi l’aveva mai visto così arrabbiato, Tajani. Ma ne ha pure ben donde. Forza Italia non ha ottenuto granché da questa manovra: il taglio all’Irpef si ferma a 50mila euro, le tredicesime non saranno detassate e ora, gli toccano pure le banche. Questo è troppo. I cattivissimi indiani della Lega non aspettavano altro che impallinare gli yankees azzurri: “Tra le risorse previste dalla prossima legge di bilancio, come fortemente voluto dalla Lega, saranno presenti anche miliardi di contributi da parte delle banche. Una strada – dicono Garavaglia e Borghesi – tracciata da Matteo Salvini e seguita, giustamente, anche dal governo nella stesura della manovra”. Piombo su piombo. Azzoppare Forza Italia inchiodandone l’immagine, come un manifesto Wanted, a quella di partito delle banche. Chissà che ne avrebbe pensato di tutto questo il Cavaliere, Silvio Berlusconi, che, come si raccontano i pionieri attorno ai bivacchi di notte, fece pubblicare su Il Giornale le intercettazioni di quello sbadato di Fassino sull’affaire Unipol: “Abbiamo una banca?”. Dalla banca di partito al partito delle banche. Piombo su piombo, ma giusto per darsi un tono. Il Grande Capo Salvini ha ben poco da gioire. Quel viso pallido di Giorgetti ha tirato più di un bidone pure a lui. Non risponde a nessuno, il ministro del rigore. Freddo come il Biondo, assertivo come Douglas Mortimer. Epperò nemmeno lui si può permettere di spadroneggiare nel Saloon della maggioranza. Se ne era andato a Washington, a un incontro del Fmi. Se ne è tornato in fretta e furia. Perché alle 11 stamattina ci sarà il vertice di maggioranza da cui dovrà uscire la quadra finale da approvare in Cdm. Dovrà spiegarsi. E l’atmosfera sarà quella di Sad Hill. Ci sarà il carillon, la tomba di Stanton sarà aperta ma vuota, perché le banche che non hanno la minima intenzione di scucire il malloppo da 11 miliardi in tre anni. Mancherà Ennio Morricone ma suonerà la sua musica immortale. Si guarderanno tutti negli occhi, nella consapevolezza che non vincerà nessuno di loro. Né Giorgetti, né Tajani, né Salvini. Nemmeno Meloni che, astutamente, ha tentato di scompaginare e ha imbastito una feroce polemica social contro il suo miglior alleato (inconsapevole, ça va sans dire) e cioè Maurizio Landini: “Mi ha dato della cortigiana”. E non vinceranno nemmeno i noiosi sombreros tierra y libertad di Avs che rilanciano sulla solita patrimoniale e neanche gli occhialuti contabili del Pd che sognano di inchiodare il governo a riscrivere tutta una manovra a lume di candela. Non vincerà nessuno. Perché le carte le danno a Bruxelles.


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