Editoriale

Fratelli Di Taglia

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Un Paese che deve scegliere tra due suicidi figli del disagio, del vecchiume e del sovraffollamento delle carceri italiane oppure l’omicida in auto ubriaco che se ne stava in giro in permesso premio dal carcere è un Paese che dovrebbe avere molta più fretta di quanta ha il ministro Carlo Nordio nel mettere le mani sulla giustizia. Ma farlo davvero. E invece i casi di cronaca ci mostrano che per ora il Guardasigilli a parlare è bravo, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di guai.

Il primo si chiama Giorgia Meloni, di mestiere fa il Presidente del Consiglio dei Ministri in Italia, è il leader della coalizione cui Nordio appartiene. Tace, è paziente, almeno pubblicamente, sulle fughe in avanti di Forza Italia e sull’idea che sia proprio il governo che porta il suo nome a smantellare alcuni presidi giuridici nel nome di una riforma berlusconiana che nei fatti rischierebbe solo di alienarsi il Parlamento. E peggio ancora di veder buttato il bambino con l’acqua sporca, visto che le questioni in campo, dalle intercettazioni alle separazioni delle carriere, al di là delle polemiche giornalistiche, sono parte integrante dell’anima democratica di una nazione e non possono essere modificate in fretta o con norme poco chiare o costruite con il bilancino partitico per accontentare un po’ tutti. Sia perché ne uscirebbe un mostro che farebbe male agli italiani, che della Giustizia che non funziona ne hanno già piene le scatole da parecchio, sia perché non è la linea che il governo tiene sugli altri temi, preferendo come Meloni ci ha mostrato più volte lo scontro aperto con il Parlamento ma il messaggio politico arriva sempre forte e chiaro.

Perfino quando può essere un boomerang l’autunno sarà il banco di prova del ministro, perché non è pensabile procrastinare oltre. Ma questo non gioca a suo favore perché sempre in quelle stesse settimane comincerà a sentirsi il fuoco della campagna elettorale per le elezioni europee che comincia già. Un luogo pieno di pericoli per Nordio, perché la legge elettorale proporzionale che sceglierà il nuovo Parlamento dell’Unione metterà anche i partiti di maggioranza in competizione fra loro, facendo emergere la linea non parallela tra i forzisti, o nordisti che dir si voglia, lanciati sul modello anglosassone che toglie a giudici e media buona parte degli strumenti di acquisizione e diffusione dei contenuti dell’indagine, a partire dalle intercettazioni telefoniche, e quella di Fratelli d’Italia che si sintetizza nell’omaggio che il premier Meloni ha fatto in occasione dell’anniversario della strage di Capaci prima e di via D’Amelio poi, nel nome di Falcone e Borsellino.

Due figure che al di là delle polemiche tra destra e sinistra che ormai non lasciano respirare gli italiani nemmeno in questo finalmente di nuovo caldo Ferragosto, sono la sintesi perfetta della distanza che c’è nel centro-destra culturale fra il modello meloniano basato su sicurezza, poteri di polizia, pene certe e scontate davvero, e la visione degli alleati, in particolare dei forzisti guidati da Antonio Tajani, che hanno al centro del proprio modello di giustizia le compensazioni secondo loro necessarie ad evitare nuovi casi di persecuzione giudiziaria, come quella che secondo i fedelissimi del Cavaliere da poco scomparso, è costata cara a Silvio Berlusconi e a tutti gli azzurri. E che rappresenta un passaggio cruciale per poter definire attorno ai nuovi eredi forzisti una platea elettorale che riconosca in loro una parola d’ordine.

Il rischio quindi è che Nordio si trovi di fronte a una riforma in salita che potrebbe prendersi più tempo di quanto aveva previsto, in un Paese che invece ha bisogno di mettere mano alla magistratura e al processo perché lo stato di salute della giustizia per i comuni cittadini è da tempo in fase critica. Finora tuttavia non si è visto nulla di concreto venire dal ministro di largo Arenula. è stato prorompente nelle sue boutade da ex pm che vuole spuntare quegli stessi strumenti che lui stesso utilizzò e che ne fecero un magistrato forte e riconosciuto, roboante nelle polemiche che hanno investito alcuni membri di primo livello della maggioranza meloniana come nel caso Cospito, ma al tempo stesso stiamo esattamente come prima.

E a Palazzo Chigi questo non piace. Così come non piace una riforma a valanga, che parta cioè dal presupposto di sfondare il muro alzato a tutti i costi, per poi finire a valle coprendo un po’ tutto sulla scia dell’ipergarantismo che non è la parola chiave nella visione del premier. E invece il nuovo abito della giustizia dovrà portare per entrambi la stessa taglia.


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