Ci sarebbe una possibile compatibilità tra il foro riscontrato sulla tempia della vittima e l'oggetto contundente
Il Baby Tonfa è un piccolo strumento di difesa personale, generalmente realizzato in plastica dura o metallo, grande come un portachiavi.
Le indagini e le novità
L’ora della morte, l’alibi degli indagati, il supertestimone, il pizzino del Pm, i resti nel fiume dragato, l’impronta 33, le scarpe con la suola a pallini numero 42. Tanti elementi, prove, controprove, perizie e controperizie si sono susseguite senza sosta e quasi senza regole in questi ultimi mesi di riapertura delle indagini sul caso Garlasco, che quel 13 agosto 2007 segnò la fine di Chiara Poggi, uccisa a soli 26 anni da – secondo la verità giudiziaria – Alberto Stasi, suo ex fidanzato.
E mentre l’ormai quarantunenne attende dal carcere di scontare la sua pena, fuori tra le Procure e le strade della provincia di Pavia tutto ruota attorno ad Andrea Sempio. L’amico del fratello delle vittima, indagato dallo scorso marzo per omicidio. Non si tratta di una prima volta, visto che tra 2016 e 2017 il suo nome era già stato iscritto sul registro delle notizie di reato. Ma stavolta a dare manforte agli inquirenti e guidare le indagini ci pensa la scienza: tutto ora sembra ruotare attorno alle analisi – tra laboratori ed esperti forensi – che cercano di scoprire cosa si accaduto nella villetta Poggi, in quali modalità, ma soprattutto da parte di chi.
E se si attendono entro la metà di dicembre le risultanze dell’incidente probatorio sono emersi ancora nuovi elementi. Stavolta, tocca all’arma del delitto. Quest’ultima non è stata citata nel lungo e sommario elenco di questo incipit, perché fino ad ora – almeno non con questa importanza in questa fase delle indagini indirizzate su Andrea Sempio – era stato preso in considerazione uno specifico oggetto come protagonista della morte di Chiara Poggi. Nel corso degli anni si era parlato di una lama, di un martello o di un attizzatoio da camino. E nel mare magnum delle nuove svolte e rivelazioni sul delitto di Garlasco, ci arriva anche quella sull’arma.
Che cos’è il Baby Tonfa
A entrare a gamba tesa nelle ipotesi investigative è il Baby Tonfa. Un piccolo strumento di difesa personale, generalmente realizzato in plastica dura o metallo, grande come un portachiavi. Una dimensione che lo rende, tra le altre cose, facilmente agganciabile a un mazzo di chiavi. Si tratta di un oggetto conosciuto e impiegato soprattutto da chi pratica arti marziali o discipline di autodifesa, come il Krav Maga, il sistema di combattimento di origine israeliana. Le sue dimensioni ridotte rendono il Baby Tonfa pratico da portare con sé, ma la sua forma e solidità permettono di essere utilizzato per colpire e neutralizzare un aggressore.
Gli studi e l’intuizione Baby Tonfa
A far emergere questa ipotesi gli studi della docente di Medicina legale dell’Università di Roma Tor Vergata Luisa Regimenti. La professoressa ha sottolineato una possibile compatibilità tra il foro riscontrato sulla tempia della vittima durante l’autopsia e la forma del Baby Tonfa. Con la documentazione medico-legale sulla vittima e sulla scena del crimine, sarebbe giunta alla conclusione che la ferita — descritta come “poco profonda e perfettamente rotondeggiante” — potrebbe essere stata causata proprio da un oggetto di quel tipo. L’esperta ha spiegato di essere arrivata a questa ipotesi dopo aver appreso che Andrea Sempio praticava il Krav Maga.
L’intervento di Carlo Nordio
E così nella lavagna degli investigatori si aggiunge un altro tassello, forse utile per ricostruire, dopo diciott’anni, la (nuova) verità. Una verità giudiziaria difficile da ricostruire. A dirlo anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio: “È difficilissimo dopo 20, 30 anni ricostruire una verità giudiziaria, lasciamola agli storici” ha dichiarato al Salone della Giustizia a Roma. “Da un punto di vista giuridico”, ha proseguito, “ricostruire fatti così risalenti nel tempo. Soprattutto quando coinvolgono indagini tecniche come l’esame del Dna o delle tracce ematiche, non è una cosa facile”. “Ci sono dei processi e delle indagini che vanno avanti decenni perché la verità non si è mai trovata. Poi però, a un certo punto, bisognerebbe avere il coraggio di arrendersi e dire che il tempo non è solo padre di verità ma anche è tempo di oblio”.