Esteri

Giorgio Bianchi: “Qui si vive sotto le bombe non da febbraio ma da 8 anni”

di Adolfo Spezzaferro -


 

“Il regalo di Natale perfetto per chi crede che il conflitto in Ucraina sia iniziato il 24 febbraio 2022 e non con i fatti di Maidan, a Kiev, otto anni fa”. Parola di Giorgio Bianchi, fotoreporter, da otto anni nel Donbass a documentare la guerra civile, che ci parla del suo libro antologico sul conflitto, Donbass stories. Otto anni di guerra civile in Ucraina, da Maidan ai giorni nostri (Meltemi, 2022). “Oggi qui a Donetsk si vive nel terrore, con i razzi ucraini che colpiscono indiscriminatamente strutture civili e la popolazione inerme”, ci racconta il documentarista e regista, mostrandoci l’altra faccia della guerra.
Com’è cambiata Donetsk e la vita nel Donbass rispetto al racconto del tuo libro?
Nel mio libro Donbass Stories racconto tutto quello che è avvenuto prima del 24 febbraio 2022. Qui nel Donbass e più in generale in Ucraina, a partire dai fatti di Kiev, da Maidan. Ossia dall’antefatto di tutta questa vicenda.
Quale antefatto?
Ciò che non soltanto io ma tanti altri come me definiamo colpo di stato. Perché questo è stato quanto accaduto in Ucraina nel 2014. E a guardare le immagini del mio libro non si può pensare diversamente. I fatti di Kiev hanno posto le basi per la guerra civile scoppiata successivamente. Da cui il conflitto nel Donbass.
Quale conflitto?
Quello tra le milizie autonomiste filorusse delle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk e le forze armate del governo centrale di Kiev. In tutti questi anni si è verificato quello che aveva dichiarato Poroshenko, il presidente ucraino predecessore di Zelensky, in un celebre intervento: “I vostri figli vivranno nelle cantine mentre i nostri figli andranno a scuola”. Perché di fatto in questi otto anni in questi territori soprattutto nei primi anni, dal 2014 fino a parte del 2017, ci sono stati intensi bombardamenti da parte degli ucraini.
Poi cosa è successo?
Dopo che si è vissuto per anni in un clima di terrore, a partire dal 2018 la situazione è andata un po’ congelandosi, i bombardamenti si erano fatti più sporadici, e con il tempo la vita si era più o meno normalizzata. All’epoca io ho fatto diversi reportage, che sono anche riportati in una sezione del libro, intitolata Vita nelle trincee. C’era questa ambivalenza: la vita in città, che scorreva più o meno normalmente – con i bambini che andavano a scuola e le persone che andavano al lavoro ma anche a teatro, facevano vita notturna, fino al coprifuoco. E dall’altra parte quello che si viveva nelle zone di campagna, dove si tenevano le posizioni militari, con brevi scontri di artiglieria. Con il 24 febbraio si è tornati a un clima paragonabile a quello del 2014, 2015 e 2016. Anzi, forse anche peggio.
Perché?
Perché oggi il centro cittadino è continuamente bersagliato da razzi Grad da parte dell’esercito ucraino. Viene utilizzata anche artiglieria della Nato: nei luoghi delle esplosioni sono stare rinvenute schegge di razzi Himars. Qui a Donetsk si vive in un clima di terrore, la città è spettrale, non gira nessuno. I bambini non vanno a scuola, fanno lezione in Dad. In tanti lavorano in smart working. Si esce solo per lo stretto necessario: chi deve fare la spesa, chi non può lavorare da casa. Si guida a tutta velocità come se si fosse nel film “Mad Max”. Uscire di casa è un po’ una roulette russa: molti, uscendo, si salutano come se fosse l’ultima volta che ci si vede.
A Donetsk non ci sono obiettivi militari, giusto?
Assolutamente no. I razzi colpiscono infrastrutture civili e la popolazione inerme. Si parla tanto dei bombardamenti russi sulle città ucraine ma Donetsk è praticamente senza acqua, perché gli ucraini hanno tagliato i rifornimenti alla città. I russi conducono attacchi alle infrastrutture energetiche, alla catena logistica dei rifornimenti di armi occidentali alle truppe. I bombardamenti ucraini su Donetsk sono del tutto indiscriminati, invece. Vengono colpiti i mercati, l’università, gli asili, gli uffici, gli incroci cittadini. La cosa scandalosa è che i tg nazionali italiani utilizzano i filmati dei bombardamenti ucraini sulle città del Donbass spacciandoli per bombardamenti russi. La gente comune è completamente all’oscuro di questa disinformazione. Chi conosce Donetsk e quei luoghi si accorge subito che si tratta di bombardamenti ucraini.
Parliamo del tuo libro…
E’ una raccolta antologica in cui documento otto anni di lavoro in queste zone. Si parte da Maidan e poi si procede per storie. Ci sono dei personaggi che sono paradigmatici di alcune situazioni tipiche di questo luogo: la ballerina, il volontario italiano, i minatori, il dormitorio con gli sfollati interni, le trincee. Ogni capitolo ha un testo introduttivo, scritto sempre da me.Tutte storie che raccontano la guerra civile. E c’è pure la Crimea.
La Crimea?
Sì, le mie foto documentano anche quanto avvenuto lì, dove – piaccia o non piaccia all’Occidente – all’epoca fu scelta, sempre con un colpo di mano dei russi, la soluzione diplomatica. Nel senso che la regione è stata annessa alla Federazione russa senza sparare un colpo. Mentre nel Donbass stiamo andando incontro a questa tragedia epocale. Se mi si consente un colpo di marketing…
Prego.
Il mio libro è il regalo perfetto per chi crede che il conflitto sia scoppiato il 24 febbraio 2022. Vorrei che la questione ucraina fosse analizzata nella sua complessa interezza. E’ vero che a volte per far arrivare il pendolo al centro lo deve tirare con forza mentre è esattamente dal lato opposto. E’ quello che vorrei far capire a proposito di quelle che sono responsabilità enormi.
Chi ha la responsabilità più grande?
Forse l’Europa. Come ha detto inopinatamente la Merkel, la Ue ha utilizzato gli accordi di Minsk per prendere tempo e rinforzare militarmente l’Ucraina, anziché utilizzarli per trovare una soluzione diplomatica che avrebbe risparmiato centinaia di migliaia di vite.

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