Politica

Giustizia, Mulé: “Frenare sulla riforma significa tradire i nostri elettori”

di Edoardo Sirignano -

GIORGIO MULE’ POLITICO


di EDOARDO SIRIGNANO

“Tutti siamo stati abituati ad avere a che fare con procedimenti avviati più sulla base di un pregiudizio che su una serena valutazione delle prove. Questo non dovrà, in alcun modo, frenare uno spirito riformatore, che se non avessimo, tradirebbe in radice il patto di lealtà che abbiamo stipulato con gli elettori”. A dirlo Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera ed esponente di spicco di Forza Italia.

Che fine ha fatto l’annunciata riforma della giustizia?

Si sta per trasformare da annuncio in atto concreto. Nonostante i tempi parlamentari e le precedenze dettate da alcuni decreti che pretendevano di avere una corsia preferenziale, la riforma sicuramente non si è impantanata, né conoscerà soste o inciampi rispetto alla cronaca. Essendo un provvedimento che si misura su una visione, sfugge a ciò che accade quotidianamente nel dibattito politico.

Perché si è perso tanto tempo?

Non si è perso tempo. Non c’erano le condizioni politiche per fare la riforma. Da quando si insidiato il governo si è subito adoperato per quanto concerne il tema giustizia. Il ministro Nordio, come è giusto che sia, si è confrontato con tutte le categorie interessate. Ha fatto sintesi ed ha presentato una valida proposta. Stiamo parlando di un pacchetto che si trova totalmente d’accordo con i principi di Forza Italia, essendo questo partito figlio della  storia politica e umana di Silvio Berlusconi.

Tajani ha dichiarato “la separazione delle carriere è fondamentale, ma non per punire i magistrati”. È d’accordo?

La separazione è fondamentale perché si torni a parlare di imparzialità, terzietà e indipendenza della magistratura. Fino a quanto questo non sarà accaduto avremo sempre il sospetto che un giudice o un Pm, transitato da un ruolo all’altro, faccia la sua attività in funzione di rapporti “amicali” o di colleganza, tradendo in radice quei tre dogmi che dovrebbero appartenere a ogni magistrato.

Possiamo dire che Meloni è vittima della giustizia come Berlusconi?

Ritengo che nessuno riuscirà mai a toccare le vette della persecuzione che ha avuto Berlusconi in termini quantitativi e qualitativi rispetto alle indagini. Il presidente è stato accusato di tutta la rubrica del codice penale. Si è detto che addirittura avrebbe avuto una parte nel fallito attentato a Maurizio Costanzo, nelle stragi del 1993 e in quelle del 1992. La storia di Silvio è il simbolo-emblema di una malagiustizia che occorre combattere perché mossa troppe volte, quasi sempre, da motivazioni ideologiche piuttosto che da una serena valutazione degli elementi in mano all’accusa o ricercati da questa. Quelle di Berlusconi sono vette inarrivabili che consegnano al Paese la necessità di fare al più presto la riforma Nordio.

Le toghe rosse sono più o meno forti rispetto a qualche anno fa?

Vivono e lottano insieme a loro. Sono cambiate nel tempo. I soliti noti sono diventati calvi o hanno i capelli bianchi, ma restano al loro posto, pur non essendo sempre toghe rosse. Stiamo parlando piuttosto di magistrati che hanno politicizzato il loro ruolo, diventando così protagonisti nel dibattito, a discapito di migliaia di loro colleghi che invece obbediscono a quel sacro principio sancito dall’articolo 101 della Costituzione per cui il magistrato è soggetto soltanto alla legge.

C’è qualcuno, anche all’interno della maggioranza, che ha ancora timore di quello che Palamara definisce il sistema?

Tutti siamo stati abituati, ognuno per storia personale, politica, professionale, ad avere a che fare con procedimenti avviati più sulla base di un pregiudizio che su una serena valutazione delle prove. Questo non dovrà, in alcun modo, frenare uno spirito riformatore, che se non avessimo, tradirebbe in radice il patto di lealtà che abbiamo stipulato con gli elettori alle ultime politiche. Se qualcuno ha questo pensiero, a me non risulta, farebbe bene a farselo passare. Qui c’è in gioco la dignità di una classe politica che ha ricevuto un mandato preciso dai cittadini e su questo si deve misurare.

Tra qualche giorno ci sarà il Consiglio nazionale di Forza Italia. Qualcuno parla di “fasciniani” in disparte. Esistono davvero mozioni azzurre?

Non colgo né segnali di differenziazione, né di divaricazioni, rispetto a quello che è il lascito di Berlusconi. Questo si fonda su due pilastri: l’unità del centrodestra e la realizzazione del programma. Avremo i nostri momenti di confronto, come nel caso del Consiglio nazionale. Subito dopo ci torneremo a parlare per dar vita a quella collegialità necessaria e indifferibile rispetto a un momento nuovo, ovvero quello che segue la dipartita del nostro presidente. Ora che Silvio non c’è dovremo trovare forme e momenti per andare avanti rispetto a ciò che dettano i tempi della politica.


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