Editoriale

Gli ammutinati del Twiga

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

L’esperienza dell’ex premier ed ex rottamatore nella sinistra finì quel giorno mentre oggi si apre la strada verso un’ipotesi diversa. La firma sulla proposta di legge per l’elezione diretta del premier è il primo passo di un’operazione politica che vuole sganciare i cosiddetti moderati dal Pd, per costruire un’area centrista più vasta indispensabile al centro destra per immaginare un governo stabile quando i numeri cominceranno, come sempre succede, a mancare.

Non è ancora il tempo per questo tipo di effetto, ma Renzi si porta avanti. Niente di meglio delle riforme costituzionali, cavallo di battaglia del suo Pd ai tempi della premiership, costategli poi la poltrona di Palazzo Chigi, oggi diventano il ponte per un allargamento di maggioranza che non ha come centro politico il programma di governo dell’attuale centro-destra Meloni-Salvini-Tajani. Le riforme sono ufficialmente qualcosa di diverso, qualcosa che lo stesso Pd con la bicamerale presieduta da Massimo D’Alema aveva sdoganato. Con l’idea di una forma di governo più adatta alle necessità dei nostri tempi, Matteo Renzi vira con la prua dall’altra parte dell’emiciclo.

Dalla sua ha la sua posizione storica favorevole a un aggiornamento delle regole costituzionali risalenti al dopoguerra e di fatto già superate dall’idealismo della Seconda Repubblica, che anche se formalmente non ha mutato il modo di eleggere i governi di fatto ha dato al popolo italiano la possibilità di leggere il nome del premier sulla scheda molto prima che il Presidente della Repubblica decidesse di dargli l’incarico. E ha dalla sua parte anche l’errore che fece non inseguendo una maggioranza talmente ampia da non rendere necessario il referendum che poi lo affossò e lo costrinse alle dimissioni, maggioranza che gli avrebbe garantito un arco politico ampio di sostegno alla sua riforma e che avrebbe reso più difficile la nascita di un fronte avverso così ampio come quello che nacque invece nel 2016 e che gli costò la poltrona più alta del governo.

Ma è anche evidente che dopo questa firma, l’atteggiamento di Italia viva muterà anche fuori dall’ambito delle riforme vere e proprie. In un tentativo di esplorazione di un percorso capace da un lato di convincere quella parte degli elettori di Forza Italia che dopo Berlusconi si stanno domandando che cosa sarà del proprio voto, dall’altro di rimanere attrattivo per quell’area ex democristiana, moderata, centrista del Pd in allontanamento da Elly Schlein e soprattutto di forte vocazione governista, quelli cioè che interpretano i moderati come il bilanciamento di ogni governo che abbia al proprio interno partiti che vengono dagli estremi.

Si apre dunque da settembre un laboratorio che dovrà essere seguito con attenzione. E che potrebbe cambiare l’appeal di Renzi nei confronti di un certo Nord in particolare proprio prima della grande corsa per il voto delle elezioni europee. E se anche adesso non vedremo abbracci e baci con Giorgia Meloni, sarà anche vero che a Matteo interessa poco dove vada a cena Maria Elena Boschi, così come Francesco Bonifazi o Matteo Richetti, ma con tutti i posti della loro Toscana, la coincidenza del Twiga non è proprio una coincidenza.


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