Economia

Globalizzazione addio, Borrell (Ue): “Cambio di paradigma”

di Giovanni Vasso -

JOSEP BORRELL COMMISSARIO EUROPEO


È finita la globalizzazione. O, almeno, è finita la globalizzazione come la conoscevamo. A darne il funesto annuncio è stato Josep Borrell, alto rappresentante dell’Ue, secondo cui, sugli scenari internazionali, è tornata “la volontà politica di potenza”. Più che un ritorno nicciano, una scelta ben ponderata. L’era delle delocalizzazioni selvagge, della produzione dislocata là dove nel mondo la manodopera costasse di meno, è finita. Perché, alla lunga, il conto da pagare è stato salatissimo. Non solo per le classi lavoratrici che, inascoltate, hanno tentato di dare l’allarme in tempi non sospetti. Ma per tutti. È un tema che si innesta, come sempre accade quando la politica si fa seria, a quelli economici. È la supply chain, la catena dei rifornimenti. Che ha svuotato d’importanza l’Occidente e, soprattutto, l’Europa.

Borrell parte dagli scenari geopolitici per arrivare a quelli economici. “Viviamo eventi drammatici in Russia in questi giorni, ma c’è anche la guerra in Ucraina, le tensioni tra Serbia e Kosovo, la strategia nei confronti della Cina – ha affermato Borrell alla conferenza annuale dell’istituto Ue di studi strategici – se si vuole avere una guida per agire bisogna capire come vanno le cose, che cosa sta arrivando e quali sono le forze che danno forma al nostro mondo. E se volete il titolo, è facile. Viviamo in un mondo politico di potenza. La politica di potenza è tornata e sta plasmando il mondo”. Una potenza che è stata l’Europa, e l’Occidente stesso, a consegnare a quei Paesi che oggi individua come suoi rivali. “Vediamo arrivare un nuovo paradigma: dal just in time al just in case. Ora è just in case: siate prudenti, perché le filiere possono essere tagliate”. Borrell fa un riferimento a un caso del quale si è parlato davvero troppo poco ma che tutti hanno sperimentato. C’è stato un momento in cui trovare un po’ di paracetamolo era diventato impossibile. E le aziende avevano tagliato persino la produzione di medicinali per bambini. “Nessuno produce più un solo grammo di paracetamolo in Europa. Non importa che il mercato lo fornirà: dipende, perché se tutti chiedono lo stesso prodotto nello stesso momento, il mercato non può rifornire tutti. E la risposta è stata prima io il che vuole dire noi secondi”. Se un Paese produttore necessita di un bene difficilmente garantirà approvvigionamenti agli altri che ne necessitano: “Il che vuol dire che un’eccessiva dipendenza da una cosa inoffensiva come un farmaco di base può diventare un rischio”. Borrell passa dalle medicine all’energia: “E oggi, sì, ci liberiamo dalla dipendenza dai combustibili fossili russi, ma abbiamo aumentato la nostra dipendenza dai materiali critici necessari per la trasformazione digitale, dalla Cina. Non va scambiata una dipendenza con un’altra”. Ursula avvisata.

La linea che Borrell propugna è la stessa che l’amministrazione Biden sta varando, con successo negli States, a detrimento della stessa Europa. Il reshoring, ossia, il “ritorno a casa” delle aziende che nel corso dei decenni hanno dislocato la loro produzione, individuata come strategica, all’estero. Una scelta che, non a caso, la Cina critica. Perché demolisce la globalizzazione, così come la conosciamo finora. Il problema è europeo. Tra delocalizzazioni ieri e reshoring oggi, il Vecchio Continente rischia di far la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro.


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