I prof di religione sconfiggono lo Stato: assunti dai giudici
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Troppi gli anni di precariato per i prof con la legge comunitaria che prevale su quella nazionale. Una lunga battaglia legale conclusasi con la vittoria su tutta la linea contro il ministero dell’Istruzione. È quella condotta dai docenti di religione per il riconoscimento dell’assunzione a tempo indeterminato dopo che per un decennio avevano avuto contratti a tempo determinato reiterati e chiedevano al Miur di essere finalmente regolarizzati. Avevano così avviato l’azione legale per il riconoscimento dei loro diritti, chiedendo anche il ristoro del danno patito.
Nei giorni scorsi la sezione Lavoro della Cassazione, presieduta da Lucia Tria, ribaltando il verdetto della Corte d’Appello di Venezia, ha riconosciuto la liceità di quanto chiedevano gli insegnanti che lamentavano una serie di violazioni da parte del ministro con la reiterazione di contratti precari per coprire la pianta organica sempre asfittica. A cominciare proprio dalla errata applicazione delle norme previste dalla legge 186 del 2003 e dalla direttiva del consiglio della Ue, con cui la norma italiana avrebbe dovuto adeguarsi alla legislazione europea.
In particolare, è stata accolta la tesi degli avvocati Giuseppe Nastasi e Tommaso Maria De Grandis, i quali sostenevano che la Corte d’Appello di Venezia avesse male interpretato la regola per gli insegnanti di religione cattolica che la quota del 30% dei posti per i quali la legge del 2003 consente la sottoscrizione di contratti annuali coincida con l’organico di fatto, cui si contrappone l’organico di diritto rappresentato dal rimanente 70% dei posti da coprire mediante il concorso pubblico. In questa maniera, sostiene la Suprema Corte si avrebbe avuto una distorsione della norma. Perché i contratti annuali “vengono utilizzati non già per soddisfare esigenze provvisorie, bensì per coprire – scrivono i giudici – posti stabilmente funzionanti costituenti il 30% dell’organico di diritto” e non ci possono essere ragioni per giustificare la reiterazione dei contratti a termine che producevano la precarizzazione dei docenti senza limiti di numero e di durata come fissata dal legislatore nazionale in un numero massimo di 36 mesi dall’articolo 5 della decreto legislativo 368 del 2001, in cui veniva recepita la direttiva comunitaria.
La battaglia per i docenti non è stata agevole, perché in primo grado quando avevano posto il quesito dell’assunzione a tempo indeterminato dopo una serie di contratti parziali per più di dieci anni, si erano sentiti rispondere picche al loro quesito fondamentale, ottenendo solo il risarcimento del danno quantificato in dieci mensilità per l’abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a termine. Ma era stata respinta l’assunzione a tempo indeterminato. A Venezia, poi, in Appello per gli insegnanti era andata addirittura peggio, perché la Corte lagunare aveva accolto le argomentazioni del Miur affermando che la legge speciale 186 del 2003 non si contrapponeva al diritto comunitario per i contratti a termine. E il ricorso alla flessibilità del personale con un organico del 30% sul complessivo fatto di contratti parziali per ragioni demografiche e di falcotatività della materia, era giustificato. Di conseguenza gli insegnanti a stare dietro alle valutazioni del secondo grado sarebbero rimasti con un pugno di mosche in mano. Non restava loro, quindi, che rivolgersi alla Cassazione per l’interpretazione definitiva sulla legittimità dell’applicazione della norma invocata, in base alla quale il sistematico rinnovo dei contratti di fatto sfociava in un abuso da parte dello Stato. Perché di fatto si assisteva da parte degli uffici provinciali dell’Istruzione a un uso senza limiti del ricorso al precariato contravvenendo la norma di un utilizzo provvisorio della clausola numero 5 dell’accordo comunitario del 1999. Questa indicazione escludeva “che possa esistere una ragione obiettiva in grado di consentire una reiterazione senza limiti di numero e di durata dei contratti di lavoro a termine in quanto sintomo di esigenza durevole e permanente”. È quello che sostenevano gli insegnanti, i quali ritenevano che i contratti annuali di fatto erano utilizzati non già per esigenze provvisorie, nello spirito della legge, ma per quella che era diventata una situazione strutturata con il 30% del copro insegnante di religione diventato precario. Di qui l’intervento della Cassazione che travolge il precariato.
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