Cronaca

Il buco nero di ore. Cinzia e l’assassino la notte senza fine

di Ivano Tolettini -


Il suo telefono ha smesso di dare segnali alle 3.20. Da quel momento, di Cinzia Pinna non è rimasta che un’assenza colma di interrogativi. La 33enne di Castelsardo, dipendente stagionale di un albergo di Palau, era uscita dopo il turno serale con alcuni amici. In un locale, testimoni la ricordano già in difficoltà, barcollante, mentre alzava la voce in una lite. Qualcuno ha persino registrato la scena con un cellulare: pochi secondi, abbastanza per mostrare il suo stato di alterazione. Poco dopo è salita sull’auto di Emanuele Ragnedda, imprenditore vinicolo di Arzachena, 41 anni, conosciuto nei giri della Gallura. Le telecamere di sorveglianza hanno fissato quell’attimo, l’ultimo in cui Cinzia appare viva e libera.

Il buco nero

Da lì inizia il «buco nero» di almeno cinque ore. L’auto di Ragnedda varca i cancelli della tenuta di Conca Entosa, 70 ettari di terreno con vigne pregiate, cuore dell’azienda di famiglia. Non ne uscirà più Cinzia, se non da morta. Gli inquirenti hanno ricostruito che, al termine di una notte alcolica e probabilmente segnata anche dall’uso di droga, tra i due esplode un diverbio violento. Nella casa i Ris hanno trovato cocaina, bottiglie vuote e macchie di sangue ovunque: divani, scale esterne, piazzale. Tracce impossibili da cancellare, nonostante il tentativo maldestro di lavarle via.

L’approccio sessuale

La versione del rampollo è quella di una lite degenerata: «Mi ha aggredito con un oggetto, mi sono spaventato e ho sparato per difendermi». Una spiegazione che non convince i magistrati. Cinzia era disarmata, lui no: impugnava una pistola detenuta per uso sportivo. L’ipotesi investigativa è che la donna abbia rifiutato un approccio sessuale, scatenando la reazione armata di Ragnedda. Dopo il delitto, il corpo nudo è stato caricato su un rimorchio e abbandonato fra le siepi dell’azienda, come un ingombro da far sparire. Il giorno seguente l’imprenditore ha ripreso la sua vita, tra bar e discoteche, come se nulla fosse accaduto. Ma le segnalazioni della sorella di Cinzia, Carlotta, sui social hanno innescato l’indagine: i carabinieri hanno rintracciato la sua auto nei video, intercettato i telefoni, seguito i movimenti. Quando è stato chiaro che la giovane era entrata a Conca Entosa e non ne era più uscita, il quadro si è chiuso: omicidio e occultamento di cadavere.

Re del Vermentino

Fino a poche settimane fa, Emanuele Ragnedda era considerato un giovane imprenditore brillante, erede di una delle cantine più note della Costa Smeralda, la Capichera. Figlio unico, vita spericolata, spese eccessive, donne, armi mostrate come trofei. In un’occasione si era presentato al compleanno della madre calandosi da un elicottero, salvo poi dileguarsi con la battuta: «Non voglio rubarti la scena». Più di un amico lo descrive come ossessionato dal denaro e dal bisogno di piacere. Negli ultimi tempi viveva in bilico tra azienda, progetti finanziari ambiziosi e dipendenze.

L’indipendenza

Cinzia, invece, aveva scelto un percorso diverso. Voleva l’indipendenza dalla famiglia che possiede due ristoranti di successo a Castelsardo. Diplomata all’alberghiero, lavorava stagionalmente, preferendo “avere poco ma non dover nulla a nessuno. Generosa, premurosa, a volte fragile, cercava di lasciarsi alle spalle rapporti difficili. A Palau divideva la stanza con una collega, che quella notte l’ha attesa invano. «Se non torno, ti chiamo», aveva detto. La compagna è stata la prima a dare l’allarme. Dunque, la parabola del “re del Vermentino” si è interrotta in modo brusco, tragico e criminale. Dopo giorni passati a dormire in una barca a Cannigione, quando già i sospetti lo circondavano, Ragnedda ha tentato di rifugiarsi in una villa di famiglia a Baja Sardinia. Si è barricato dentro con una pistola, minacciando di uccidersi. Alla fine, ha aperto la porta e si è arreso ai carabinieri.

Confessione lacunosa

Adesso è rinchiuso nel carcere di Nuchis. Durante un interrogatorio-fiume ha confessato: “Mi sono spaventato e ho sparato”. Ma per i magistrati la sua è una giustificazione che non regge. Il suo racconto non esaurisce tutti gli interrogativi ancora privi di risposte degli investigatori dell’Arma. Non c’è difesa possibile per il colpo che ha spento la vita di Cinzia. A Castelsardo, centinaia di persone l’altra sera hanno sfilato in silenzio addolorate in una fiaccolata per ricordarla. “Era una ragazza d’oro, non meritava una simile fine, chiediamo giustizia”, ripetono gli amici inconsolabili. La sua ultima notte, invece, resterà il simbolo di un femminicidio che unisce fragilità e prepotenza, e di un uomo convinto che tutto gli fosse dovuto, persino il corpo di una donna.


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