Editoriale

Il burqa riciclabile

di Tommaso Cerno -


Il burqa riciclabile. Seppellita Giulia Cechettin, torna l’Italia di sempre. Quella che parla di patriarcato quando le comoda. E non ne parla invece quando culture dove la donna è inferiore all’uomo si comprano il nostro Occidente. Quando uomini e donne libere non vogliono lasciare i propri beni alla famiglia. Quando, insomma, bisogna essere una società liberale. Per cui il Burqa va bene, basta che sia di materiale riciclabile. Eppure basta guardarci bene in faccia per capire che finiremo dritti dalla padella nella brace. I sintomi di questa anestesia culturale delle democrazie in crisi e del mondo liberale ridotto a minoranza sono decine. Lo stesso Paese che si ferma per la morte, dolorosa, di Giulia Cecchettin è quello che passa ore davanti alla televisione a celebrare l’incoronazione di re Carlo III d’Inghilterra, con i figli (famiglia sfasciata pure quella) in ginocchio a giurare di essere sudditi.

Lo stesso Paese che si ferma per Giulia contesta a Gina Lollobrigida di voler lasciare i suoi soldi, che si è guadagnata lei sul sert facendo l’attrice e diventando simbolo dell’Italia nel mondo a chi vuole, perché quando si muore arriva la famiglia (patriarcale appunto) che definisce il diritto dinastico e lo rende superiore di fronte al giudice alla libertà personale di spendere i propri averi come meglio si crede. Lo stesso Paese che si ferma per Giulia approva il fatto che un filosofo che ha cambiato la visione del pensiero moderno come Gianni Vattimo, omosessuale dichiarato, non possa lasciare i suoi beni a un ragazzo più giovane, perché sia mai che la famiglia viene fregata dalla marchetta di turno. Lo stesso Paese che si ferma per Giulia ha un giudice nel suo ordinamento democratico che chiede l’assoluzione per un cittadino di religione musulmana che ha picchiato la moglie perché, spiega, fa parte in fondo della loro cultura. Lo stesso Paese che si ferma per Giulia accetta che nella città di Monfalcone la comunità islamica imponga il Burka alle donne nella piazza del mercato il venerdì, vietato dalla legge, senza che mai sia intervenuto lo stato a capire cosa stesse succedendo. Lo stesso Paese che si ferma per Giulia condanna a 17 anni un orefice che ha ucciso due banditi entrati nel suo negozio per rapinarlo e che hanno minacciato figlio e moglie, mentre di fatto difende l’omicidio messo a segno da Filippo Turetta indicando nel patriarcato una sorta di complice sociale, con il rischio che passi l’idea in Italia che il rapinatoricidio, ovvero l’omicidio di un rapinatore, è più grave del femminicidio su cui abbiamo alzato il dibattito più forte degli ultimi dieci anni in Italia e su cui ci stracciamo le vesti dalla mattina alla sera.

E mentre succede tutto questo, mettiamo sullo stesso piano i terroristi islamisti di Hamas e lo Stato democratico di Israele, facendo una conta dei morti di guerra che trasforma in statistica due culture che per l’Occidente dovrebbero essere e rimanere differenti sempre e comunque. E che invece si mescolano fra loro facendo passare l’idea che non esiste una vera accettazione della cultura liberale alla base del nostro posizionamento internazionale. E che non esisterà nemmeno, di conseguenza, un capitalismo etico. Dove le democrazie in crisi hanno il coraggio di dire di no ai miliardi che arrivano per comprare pezzi del nostro mondo libero se questi Paesi sono gli stessi che picchiano le donne, le costringono al velo o al burqa, le segregano in casa. Perché pecunia non olet. E i patriarchi siamo sempre noi.


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