Editoriale

Il Calvario minimo

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

La stessa che vede Matteo Salvini cercare in tutti i modi temi propri, fino al Paperino del ponte sullo Stretto, che nel fumetto però urlava, e Antonio Tajani che si trova a guidare in solitaria una Forza Italia in crisi d’identità, alla ricerca di temi propri e distinguo per farsi notare. Perché Giorgia Meloni punta a un risultato superiore a quello delle elezioni politiche, dopo aver incassato dai sondaggi nei primi mesi di governo una crescita di quasi 5 punti sul risultato effettivo delle urne del 2022.

Un caso abbastanza unico nel panorama italiano che rischia di veder nascere un partito neoconservatore di stampo europeo senza nemmeno che qualcuno lo proponga, ma proprio nella intenzione degli elettori. Un partito che porterebbe la Lega a mantenere una certa autonomia, ma ridotta nel risultato elettorale alle sue aree storiche del Nord, e farebbe diventare Forza Italia una specie di corrente interna del centrodestra liberale in conflitto ma non in antagonismo con l’area più reazionaria e clericale. E così Matteo Renzi trova finalmente una porta d’accesso a quel mondo che sa di dover stare nel governo e di non avere legami culturali con la sinistra di Elly Schlein ma non riesce a riconoscere una reale differenza fra il premier leader della coalizione e gli attuali dirigenti del partito moderato del centrodestra, rimasto orfano del fondatore Silvio Berlusconi.

Così la strada con Calenda finisce anche ufficialmente dopo essere finita nei fatti già da tempo. La riforma della Giustizia e il premierato, o qualche sua variante, saranno i terreni di confronto che dall’autunno proveranno a verificare se da quella parte dell’emisfero politico Renzi sarà più fortunato di quanto è stato dopo la rottura con il Pd nell’area della cosiddetta sinistra moderata. Ecco che il salario minimo e l’incontro di ieri fra governo e opposizione assume un significato molto diverso da quello che ci raccontano economisti e giuslavoristi. Si tratta di fare proprio in extremis, pur con tutti i distinguo che la destra porrà sul tavolo, un tema che non piaceva a Giorgia Meloni in campagna elettorale, non piace storicamente al Pd ma è diventato il cavallo di battaglia della sinistra e dei 5 Stelle, un cavallo di battaglia che piace secondo i sondaggi a otto lavoratori su 10.

Troppi per lasciare all’opposizione la parola d’ordine del salario minimo. E così dopo gli scontri su giornali e social fra il premier e Giuseppe Conte, seguiti però da interlocuzioni private e trattative riservate, il Pd si trova a rivendicare l’idea, mentre Giorgia Meloni prova ad attuarlo sapendo che da qui al prossimo anno il ritorno elettorale di un’eventuale normativa che fissa una retribuzione minima per i neoassunti non sarà tutto a sinistra, così come non potrà diventare il cavallo di battaglia dei manifesti elettorali del Pd e dei grillini alle elezioni europee. Il segno questo che Meloni è cambiata, dalla versione elettorale a quella di governo, ma lo ha fatto con mosse impreviste che rendono questa metamorfosi letteralmente appetibile e difficilmente strumentalizzabile da chi dice che il falco è diventato colomba.

Se a questo si aggiunge che le elezioni europee avranno un sistema proporzionale puro, il che significa che i partiti correranno da soli, tutti contro tutti, Giorgia Meloni non ha rivali autentici nel campo del centrodestra, anzi corre il rischio di fagocitare molto del voto governista e moderato del Nord di fronte a elezioni così importanti per gli scenari di guerra, di crisi economica, di trasformazione dell’economia mondiale. Mentre a sinistra la corsa tra Pd e 5 Stelle sarà quella delle grandi occasioni nel tentativo da parte di Schlein di superare tutti gli altri partiti di opposizione di una percentuale talmente larga da non mettere più in discussione la guida dell’eventuale coalizione che in Parlamento potrebbe nascere in forma più coesa per cominciare ad opporsi a un governo con una proposta alternativa in vista di elezioni politiche che ancora sono lontane ma che per ora non vedono alternative al premier in carica.

 


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