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Attualità

Il Natale degli invisibili

di Priscilla Rucco -


Mentre le vetrine brillano di luci e le famiglie si preparano per i cenoni, migliaia di anziani italiani affrontano il periodo più buio dell’anno. Letteralmente soli. E troppo spesso dimenticati. La porta di via degli Artieri a Terni era chiusa da due settimane. Una stranezza per quel 75enne che viveva solo e amava tenere l’uscio socchiuso, affacciarsi, scambiare due parole con i vicini. Quando qualcuno ha finalmente avuto il coraggio di chiamare le autorità, era troppo tardi. Stesso epilogo a Roma, al Don Bosco e alla Balduina: due anziani trovati senza vita, morti da giorni, in case dove nessuno era entrato a controllare. Nessuna telefonata, nessuna visita, nessun campanello che suonasse.

Sono le tragedie invisibili di un’Italia che invecchia senza ricordare. Drammi che le statistiche raccontano con fredda precisione, ma che i fatti di cronaca dipingono con tutta la loro violenza emotiva. Perché dietro ogni porta chiusa troppo a lungo c’è una storia di solitudine che avremmo potuto interrompere.

I numeri dell’emergenza

Il Rapporto Istat 2025 consegna dati tristi: il 36,2% delle famiglie italiane è composto da una sola persona. Significa 9 milioni e mezzo di persone che vivono da sole. Ma il dato più allarmante riguarda gli anziani: quasi il 40% degli over 75 – quattro su dieci – vive in solitudine. In prevalenza donne, spesso vedove. L’85% di loro ha perso il coniuge, e con esso l’ultimo argine contro il vuoto. I numeri diventano ancora più drammatici se guardiamo al futuro. Entro il 2043, secondo le proiezioni Istat, saranno 6,2 milioni gli over 65 che vivranno soli. Una popolazione equivalente all’intera Lombardia. E tra questi, almeno 400mila si trovano già oggi in una condizione di altissimo rischio: soli, con gravi difficoltà motorie, senza aiuto adeguato o con aiuto insufficiente. Sono gli invisibili tra gli invisibili, quelli per cui ogni giorno è una battaglia per sopravvivere e per essere ricordati. Oggi in Italia ci sono 14,36 milioni di persone con più di 65 anni – quasi un quarto della popolazione – e oltre quattro milioni di loro vivono da soli. Quasi un milione vive in povertà assoluta. E quando arriva Natale, quel contrasto tra la retorica della festa e la realtà della solitudine diventa un peso insostenibile.

Le feste? Per molti, un incubo

Natale, Capodanno, l’Epifania. Periodi che la retorica collettiva dipinge come momenti di calore familiare, ma che per decine di migliaia di anziani italiani rappresentano l’apice dell’isolamento. Il 42% degli anziani che vivono soli dichiara di provare sentimenti di “solitudine severa” durante le festività, con picchi nelle grandi città dove l’isolamento sociale si somma all’anonimato urbano.

Mentre le case si riempiono di voci e regali, loro ascoltano il silenzio e ricordano il passato, spesso lontano e doloroso. Mentre le tavole traboccano di cibo, loro scaldano un piatto già pronto al microonde. Se va bene. Il problema non è solo quantitativo, ma qualitativo. Non si tratta semplicemente di essere fisicamente soli – condizione che alcuni potrebbero anche scegliere – ma di sentirsi abbandonati, dimenticati, inutili.

Nei giorni delle festività natalizie il numero di chiamate ai servizi di emergenza da parte di anziani soli aumenta del 30%. Non sempre per problemi medici urgenti: spesso è solo il bisogno disperato di sentire una voce amica, di ricordare a se stessi – e al mondo – di esistere ancora. Gli psicologi la chiamano “depressione natalizia” e colpisce soprattutto chi ha perso il coniuge, chi non ha figli o li ha lontani, chi è stato gradualmente escluso dai ritmi frenetici della vita moderna.

Ma c’è un altro dato che dovrebbe farci riflettere: secondo l’Istat, il 27% degli anziani soli dichiara che l’aiuto dai vicini sarebbe difficile o molto difficile da ottenere. Un altro 33% dice che l’aiuto è possibile, ma non garantito. Significa che solo quattro anziani su dieci possono contare con certezza su una rete di vicinato amico.

Anziani soli a Natale. Le mani tese (esistono, bisogna saperlo)

Sul territorio nazionale esistono decine di associazioni che durante le feste organizzano pranzi comunitari, visite a domicilio, linee telefoniche dedicate. La Caritas, con le sue oltre 220 sedi diocesane, attiva ogni anno il progetto “Natale solidale” che raggiunge migliaia di anziani soli con pacchi alimentari, ma soprattutto con visite e compagnia.

La Comunità di Sant’Egidio organizza pranzi di Natale in oltre 60 città italiane. “Non è il piatto che manca”, racconta un volontario romano, “è qualcuno con cui condividerlo. Molti arrivano e piangono, non per commozione, ma perché è la prima volta in mesi che qualcuno li guarda negli occhi”.

L’AUSER coordina il servizio “Filo d’Argento” (numero verde 800 995 988), attivo 365 giorni l’anno. Solo nel periodo natalizio ricevono oltre 15mila chiamate da anziani soli. Anche la Croce Rossa mobilita i suoi volontari. Ci sono poi realtà più piccole ma preziose: “Viva gli Anziani”, “Adotta un nonno”, le parrocchie che coordinano reti di vicinato solidale.

Il campanello che potremmo suonare

La porta chiusa di via degli Artieri dovrebbe essere un monito per tutti. Quanto tempo deve passare prima che qualcuno si accorga che una vita si è spenta? Com’è possibile che persone muoiano nell’indifferenza generale?

Le feste stanno arrivando. Le luci, i regali, i brindisi. Bellissimo. Ma forse, prima di aprire l’ennesimo pacco, potremmo aprire menti e porta di casa. Suonare quel campanello. Fare quella telefonata. Portare un panettone al vicino anziano. Invitarlo a pranzo, anche se non sappiamo cosa dirgli.

Perché in fondo, come diceva Madre Teresa: “La più terribile povertà è la solitudine e il sentirsi non amati”. E nessuno, tra i 4 milioni di anziani soli che l’Istat ci ricorda esistere in questo Paese, che sono memoria del passato, non dovrebbe rimanere solo così. Tantomeno a Natale.


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