Editoriale

In principio era il killer: per fortuna che la magistratura c’è…

di Tommaso Cerno -


In principio era il killer. Per fortuna che la magistratura c’è. Già. Capita di dire anche questo nel Paese della riforma incompiuta e della giustizia a orologeria. Quando succede che un apparente ragazzo della porta accanto si fa killer e uccide in modo barbaro la sua ex fidanzata, la getta in un dirupo e si dà alla fuga. Ma l’Italia parla di patriarcato, di ruolo dei maschi e di chincaglieria varia. Pensiamo alle leggi e alla scuola. Tutte cose sacrosante, che se fatte bene, fra vent’anni ci restituiranno un’Italia migliore. Ma intanto il killer di Giulia, Filippo Turetta, è l’assassino di Giulia Cecchettin. L’ha accoltellata una quindicina di volta. L’ha lasciata morire dissanguata per ventidue minuti. Si è liberato del corpo della donna che diceva di amare come di una carcassa. Si è dato alla fuga. E ora con la faccia catatonica che usano certi mafiosi per sfuggire ai processi, sta in carcere in Germania in attesa di un rimpatrio che è solo il primo, lentissimo passo verso un processo che sarà lungo e non banale.

Un processo la cui sentenza gli italiani hanno già pronunciato, invocando l’ergastolo, ma che in verità non è così scontato. Un processo durante il quale quel ragazzo, che è un killer di donne, avrà il tempo di razionalizzare e di scegliere una linea di difesa. E, c’è da scommetterci, avrà pure qualche supporter in giro, qualche innocentista che si metterà a dire che è tutto un imbroglio. Perché è vero che il Paese sta prendendo lentamente coscienza delle donne in pericolo e delle malattie che ancora albergano nel sottobosco maschile di una società solo apparentemente normale, così come dei vuoti che ci sono fra generazioni, ma è anche vero che se nel 2007 non parlammo di femminicidio Poggi, ma di delitto di Garlasco, e tutta l’attenzione mediatica era concentrata sul volto sottile e ambiguo di Alberto Stasi, che ancora si proclama innocente, è pur vero che almeno ci fu un lavoro certosino di indagine per inchiodarlo alle sue macabre responsabilità, perché alla fine sarà lui che processeremo e dalla forza e del peso di quella sentenza, dalla chiarezza delle prove, dalla lucidità degli elementi, dipenderà anche il peso politico della sentenza, cioè la credibilità stessa di uno Stato di fronte al crimine e alla vittima, Giulia.

Perché se per caso noi facessimo le nostre mille messe cantate per invocare una giustizia teorica per Giulia, ma poi non riuscissimo a uscire dall’aula di Corte d’Assise con un ergastolo senza se e senza ma avremmo perso la battaglia vera, oltre che la possibilità di mettere paura a quei maschi che tanto tiriamo in ballo, a quel dark world del famoso patriarcato, che si farebbe un baffo delle nostre teorie di fronte alla pratica. E soprattutto avremmo ipotecato per sempre l’ipotesi che qualcuno creda che la legge serve a quel che si dice. E che dentro quei codici ci sia una giustizia. Sarebbe il peggior servizio possibile a Giulia, sarebbe come uccidere quella giovane donna che stava per coronare il sogno della sua laurea una seconda volta.

Possiamo evolvere come società, possiamo dire meglio le cose, possiamo finalmente fare qualcosa tutti insieme contro una piaga che ci affligge da secoli ma che oggi è davvero il sintomo di una arretratezza storica incompatibile con il progresso. Ma per farlo serve puntare l’attenzione anche sul killer. E inchiodarlo alle sue macabre responsabilità.


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