La Fenice divisa sul caso Venezi. Tra musica, politica e immagine
La direttrice d'orchestra Beatrice Venezi e Bianca Guaccero negli studi Rai di Napoli dove hanno registrato il programma 'Viva Puccini' 2024 ANSA / CIRO FUSCO
La nomina di Beatrice Venezi a direttrice (“direttore” preferisce lei) musicale del Teatro La Fenice divide e incendia la scena culturale italiana. Giovane, 35 anni, curriculum internazionale, celebrata fino a pochi anni fa come volto nuovo della musica classica, oggi si trova al centro di una battaglia che intreccia estetica, politica e tradizione. La sua designazione da parte del sovrintendente Nicola Colabianchi, in vigore dal 2026 al 2030, ha scatenato una reazione senza precedenti: una lettera dell’orchestra, annunci di sciopero, prese di posizione di intellettuali, sindacati e politici. Il fronte della critica è netto. I professori d’orchestra hanno parlato di “nomina inadeguata” e di rischio di perdita di prestigio internazionale, evocando la sproporzione tra il profilo di Venezi e la storia del teatro. L’ex sovrintendente Cristiano Chiarot non ha usato mezze misure: “Non ha le competenze professionali per dirigere un teatro di quel livello. Non si tratta di politica, ma di curriculum”. Sul podio veneziano, ricordano i detrattori, sono passati giganti come Abbado, Muti, Maazel, Chung. Per loro, il salto è troppo grande per una musicista che, pur vantando esperienze all’estero, non ha ancora diretto stabilmente istituzioni liriche di rango equivalente.
Merito e pregiudizio
A respingere gli attacchi è soprattutto il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone (FdI). Secondo lui, Venezi paga un “pregiudizio ideologico”: non appartiene ai circoli della sinistra culturale, e per questo sarebbe sotto tiro. “Le è stato rimproverato perfino di essere bella, un’assurdità che conferma la natura politica dell’attacco”, dichiara. La destra insiste sul merito: già inserita da Forbes tra i giovani talenti più promettenti, Venezi sarebbe capace di attrarre nuove generazioni verso la musica classica. Una professionista, dunque, che non meriterebbe la riduzione a simbolo di contesa politica. Nel mezzo della tempesta, il sovrintendente Colabianchi rilancia. Così conferma la sua scelta: “Non mi pento di Venezi. Ho visto gente più giovane e meno preparata di lei. Quando ero a Cagliari ha diretto opere complesse come Tosca, Traviata e Favorita, e non ha mai avuto problemi né con l’orchestra né con il pubblico”. Colabianchi racconta una Venezi “risentita e meravigliata” per la virulenza delle polemiche, ma anche pronta a dimostrare sul campo il proprio valore. Il sovrintendente sottolinea che manca un anno al suo arrivo e che c’è tempo per favorire un avvicinamento con l’orchestra: “Valuteremo percorsi per far dialogare queste due dimensioni, quella dei professori e quella del Maestro Venezi. Serve conoscenza reciproca”. C’è chi sottolinea come il sovrintendente Colabianchi avrebbe potuto coinvolgere in qualche modo gli orchestrali, in maniera da attutire l’impatto della scelta. L’appello comunque è chiaro: fiducia e tempo, non processi sommari. Anche il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, presidente della Fondazione, entra in campo e convoca per l’8 ottobre una riunione con orchestra e management. L’obiettivo: riportare calma e sottrarre la Fenice al rischio di diventare terreno di scontro politico permanente. “Serve dialogo costruttivo. Non possiamo trasformare il teatro in un’arena”, ammonisce.
CURRICULUM E GENERE
La vicenda porta a galla nodi più profondi. Da anni Venezi rivendica di voler essere chiamata “direttore” e non “direttrice d’orchestra”, scelta che divide il femminismo. La sua immagine pubblica con ospitate televisive, copertine patinate, interviste glamour , è stata da anni un asset mediatico che l’ha proiettata come icona accanto a figure come Samantha Cristoforetti e Sara Gama. Oggi quello stesso capitale rischia di diventare un boomerang: i critici parlano di sovrapposizione tra estetica e arte, tra immagine e curriculum. E nel sottotesto delle accuse, “troppo bella per dirigere la Fenice”, si intravede ancora il peso del giudizio estetico sul riconoscimento professionale delle donne. La Fenice non è un teatro qualsiasi. È un tempio, simbolo della lirica italiana, con una tradizione ingombrante. Ogni nomina è un segnale culturale e politico. Da Diego Matheuz, allievo di Abbado, a direttori con decenni di esperienza internazionale, la storia recente del teatro rende inevitabile il paragone. Per alcuni, l’arrivo di Venezi segna una rottura e un abbassamento degli standard. Per altri, è un’opportunità di rinnovamento, un’apertura a un pubblice più giovane. Alla fine, come sempre nel mondo conservatore ed esclusivo della musica, conteranno le prove sul podio. I detrattori temono un calo di livello, i sostenitori parlano di occasione storica. Nel frattempo, il caso spacca il mondo culturale, riaprendo domande centrali: quanto contano le competenze e quanto invece le appartenenze politiche? Quanto pesa in Italia nel 2025, la dimensione estetica nel giudizio di una professionista? Beatrice Venezi si trova di fronte alla sfida più ardua della sua carriera: convincere con la musica, e non con le polemiche, di meritare un posto nell’Olimpo della Fenice.
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