Politica

LIBERALMENTE CORRETTO – La firma dell’irresponsabile

di Michele Gelardi -


Sembra che a Bisanzio l’esercizio delle pubbliche potestà fosse particolarmente ingarbugliato e misterioso. Ma se riportiamo all’oggi la storia di ieri, dobbiamo concludere che la moderna Bisanzio si chiama Italia. Per averne conferma, basta dare uno sguardo al paradosso tutto italiano che possiamo chiamare “la firma dell’irresponsabile”.
Eravamo già abituati alla controfirma del Presidente della Repubblica su tutti gli atti del governo e del Parlamento, dei quali non assume la responsabilità politica. Difficile spiegare all’ignaro cittadino, perché mai un soggetto “non responsabile” debba firmare un atto, alla cui formazione non ha cooperato. Dovremmo spiegargli che il nostro Presidente ha ereditato non solo il Quirinale, ma anche le prerogative del Re; invero il governo non è un “gabinetto del Re”, ma è come se lo fosse, pertanto i suoi atti, ma anche quelli del Parlamento, devono subire il controllo del Re putativo. Ovviamente la spiegazione sarebbe comunque claudicante, perché la figura del Re, essenziale e costitutiva nelle monarchie, non pare facilmente giustificabile, ancorché in forma di Re putativo, in una Repubblica parlamentare, per la semplice ragione che dietro la firma si cela un rilevante potere di condizionamento extraparlamentare, che ha inizio con la scelta dei ministri, continua con la moral suasion soprattutto sui decreti legge e sbocca anche nella politica estera parallela, celata dietro il paravento delle visite di Stato. Ebbene a questo bizantinismo della “controfirma”, ossia all’irresponsabilità politica di chi suggerisce, indirizza e condiziona, ci eravamo abituati e acquietati in nome dell’unità del Paese.
In tempi più recenti, le firme dell’irresponsabile si sono moltiplicate a dismisura, in virtù del connubio incestuoso politica-burocrazia. In tutto il mondo, l’apparato burocratico è diretto dal responsabile politico, il quale sottoscrive tutti gli atti aventi efficacia esterna; il burocrate ubbidisce al politico, compiendo l’istruttoria preliminare e sottoponendo l’atto definitivo alla firma del vertice gerarchico. Ma in Italia, da 30 anni, non è così: non vige più la subordinazione della burocrazia alla politica, sulla quale si basava la teoria di Ludwig von Mises. L’illustre studioso osservava che il sovrano non può delegare al burocrate l’esercizio della sua potestà, su una porzione del territorio o su uno specifico settore d’intervento. Se lo facesse, perderebbe una parte del suo potere e investirebbe un altro soggetto della sua stessa sovranità. Ne deriva, secondo Mises, che il sovrano può controllare il burocrate, solo eliminando la discrezionalità degli atti di costui, ossia vincolandoli nella forma e nel contenuto a tipologie predeterminate. Non potendo controllare il risultato degli atti amministrativi, per impossibilità del calcolo economico a valle, il sovrano interviene a monte, sottraendo al burocrate ogni potere di iniziativa e vincolandolo al compimento di atti ripetitivi, impersonali e “neutrali”. Queste osservazioni di Mises sono sempre valide, tuttavia devono essere parzialmente aggiornate alla nuova realtà, rappresentata dalla sottoscrizione, da parte del burocrate, di atti aventi efficacia esterna, disposta con D. L.vo n. 29 del 1993. Si è verificato ciò che Mises non avrebbe potuto immaginare: il sovrano si è spogliato del suo potere e ha delegato al burocrate la sua sovranità. Al politico è rimasto il privilegio di scegliere il suo capo, ossia quello di incoronare il Re, il quale, dopo la cerimonia, esercita la sua sovranità, anche in disaccordo con chi gli ha cinto la testa. Insomma, la particolarità italiana è che tale autentico sovrano è politicamente irresponsabile, mentre non è cambiata la natura dei suoi atti, i quali continuano ad essere privi di iniziativa, prefigurati e impermeabili al nuovo. Nella moderna Bisanzio la sovranità risulta esercitata da illustri sconosciuti, non eletti e politicamente irresponsabili, i quali si guardano bene dal discostarsi dal “protocollo” tradizionale, non avendo nulla da guadagnare dal rischio del nuovo. E così la palude burocratica spiega tanta parte del declino italiano.


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