Economia

La grande fuga dall’Italia dei “no”: il caso Portovesme

di Angelo Vitale -


Il caso Portovesme. L’ok del Governo. Ma la Sardegna frena e l’azienda può andarsene

“Il nostro obiettivo è rendere l’Italia il Paese leader in Europa nel riciclo di materie prime critiche. Possiamo farlo raggiungendo l’obiettivo del 20% di riciclo entro 2030”: nel luglio scorso queste parole del ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso. Sul riciclo è incentrata gran parte delle strategie del governo Meloni, guardando alla soglia del 2040 quando il riciclo potrebbe arrivare a soddisfare quasi un terzo del fabbisogno italiano dei 34 materiali indispensabili per la transizione energetica. Ma come, e con quali possibili corridoi di accelerazione? La vicenda che raccontiamo segnala che passare dalle parole ai fatti, su temi del genere, presuppone ancora oggi un approccio che è assente. Perché, sindromi Nimby e Nimto a parte, i territori locali agitano ancora i lacci della burocrazia. E il governo, finora, al di là di aspirare alla semplificazione, che pure sarebbe imposta dai suggerimenti dell’Europa, si è limitato a immaginare di poter quanto prima considerare ufficialmente alcuni target come “obiettivi strategici”, per svincolarli dalle pastoie locali.

In Sardegna, il quadro è quello che rappresentiamo. La multinazionale anglo-svizzera Glencore ha già un impianto a Portovesme, acquistato alla fine dei ’90 dall’Eni, ove produce piombo e zinco, per l’Italia “sito di importanza strategica nazionale”. Vi lavorano 1300 lavoratori, contando pure il sito di San Gavino e la discarica a Genna Luas. A maggio, Glencore annuncia una partnership con la canadese Li-Cycle, leader nel recupero delle risorse delle batterie agli ioni di litio, la prima nel Nord America. Glencore investe 5 milioni di euro per un progetto pilota da affiancare allo stabilimento di Portovesme ove trattarvi fino a 70mila tonnellate di black mass, la materia di riciclo per estrarvi litio, cobalto e nickel. Il primo in Europa per capacità, aprendo anche ad una circuitazione di materiali in ingresso dalla rete Spoke europea di Li-Cycle e dalla sua stessa rete commerciale e all’ingresso dei primi 25 nuovi lavoratori.

Urso ne è informato e in estate sollecita pure la definizione dei piani di Glencore. A fine settembre, però, la Regione Sardegna rende noto di voler sottoporre a valutazione di impatto ambientale il progetto pilota. Una decisione che per Glencore “si pone in aperta contraddizione con la strategia italiana di assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche, in particolare attraverso modelli di economia circolare, come recentemente ribadito dal governo al summit dell’Agenzia Internazionale dell’Energia a Parigi”, sottolineando che la scelta di un impianto dimostrativo – non a caso chiamato Li Demo – realizzerebbe “un’importante struttura di raffinazione dei metalli delle batterie in tempi più brevi rispetto a un progetto greenfield”. Cgil, Cisl e Uil, dopo un incontro con l’assessore regionale all’Ambiente Marco Porcu, si dicono molto preoccupati – “Siamo praticamente al paradosso: da un lato si spinge e lavora per la decarbonizzazione e dall’altro si rallentano tutti i piani per la transizione energetica” – evidenziando perfino un “buco legislativo” che chissà quanto potrà valere nelle argomentazioni a base della prossima Via attesa in tempi non brevi: “A oggi non esiste neppure una normativa che regolamenti l’utilizzo e il rilascio del litio nei corpi idrici”. Un ulteriore segnale di quanto sia facile costituire Commissioni e molto impegnativo aggiornare il quadro legislativo alle nuove tecnologie.
Glencore si riserva di “valutare strategie alternative”. In poche parole, sviluppare altrove il progetto. Il ministro Urso le chiede di completare lo studio di fattibilità dell’impianto. Che potrebbe anche definire come “obiettivo strategico” del nostro Paese, come 2 giorni fa, tra mille arzigogoli, ha deciso anche una risoluzione del Senato. E Li-Cycle? Da agosto va a pieno ritmo il suo primo impianto del genere in Germania ed Europa, a Magdeburgo. Ove processerà fino a 30mila tonnellate di black mass.


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