La voce del padrone fa scricchiolare l’Europa
Il conto salatissimo dei dazi, Parigi protesta: "Sottomissione"
URSULA VON DER LEYEN PRESIDENTE COMMISSIONE EUROPEA DONALD TRUMP PRESIDENTE USA
La voce del padrone ha risuonato, così forte che l’Europa rischia di andare in pezzi. L’accordo sui dazi è stato raggiunto. Hanno vinto tutti, come al solito. O, almeno, ci hanno provato a far passare per vittoria anche una resa, quasi incondizionata, come quella dell’Ue all’accordo (capestro) promosso dalla Casa Bianca. Le tariffe saranno al 15% al prezzo di 750 miliardi in gas e materie prime energetiche cui aggiungere altri 600 miliardi da spendere in Usa. Oltre a chissà quante armi americane. Questo, almeno, è ciò che si aspettano gli americani da Ursula e, in particolare, quanto ritiene di aver spuntato Donald Trump. Che, all’Europa, ha finito per chiedere (ottenendolo) il triplo di quanto imposto al Giappone.
La delusione Ursula
Von der Leyen, che s’attendeva un’accoglienza da madre della patria europea, s’è trovata nella scomoda posizione di dover tentare di disinnescare l’impatto, potentissimo, delle cifre snocciolate dalla controparte americana. La presidente della Commissione ci ha tenuto a dire che l’impegno a comprare 750 miliardi in gas sarà diluito in tre anni. Bontà sua. “C’è troppo gnl russo che entra di nascosto nell’Ue”, ha detto Ursula ammettendo che le sanzioni non hanno sortito effetti decisivi: “Vogliamo assolutamente sbarazzarci dei combustibili fossili russi, e quindi è bene acquistare Gnl più economico e di migliore qualità dagli Stati Uniti”. Parole che, non hanno sortito l’effetto sperato dal momento che la polemica, per tutta la giornata, è montata ed è stato necessario mandare avanti un paio di “fonti” a dire che l’Ue, quegli impegni da 600 miliardi, non sarà mica così certa di riuscire a mantenerli dal momento che le decisioni di mercato le prendono i privati, non la parte pubblica. Non è detto che dopo aver speso un intero Next Generation Eu, il Pnrr di tutti i Pnrr per il gas, se ne spenderanno altri 600 per comprare made in Usa. Sono solo stime, sussurrano dalle stanze brussellesi. Speriamo che abbiano sussurrato piano e che a Trump non l’abbiano raccontato. Intanto, di sicuro, gli avranno raccontato di come l’Europa sia andata in frantumi di fronte all’accordo che, secondo il presidente americano, aprirà un’era di “unità e amicizia”.
La voce del padrone, le reazioni dei Paesi membri
Ad aprire le danze, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e la premier italiana Giorgia Meloni. Per il primo, “siamo riusciti a preservare i nostri interessi fondamentali”, per la seconda invece la base doganale “è sostenibile” e che ora bisogna “lavorare per ottenere l’accordo migliore possibile”. Chi gongola è l’ungherese Viktor Orban che, delle tariffe, ne fa una questione personale: “Donald Trump non ha raggiunto un accordo con Ursula von der Leyen, ma piuttosto si è mangiato la presidente della Commissione europea per colazione”. Una sintesi efficace mentre il premier spagnolo Pedro Sanchez sceglie la paziente sopportazione: “Sostengo l’accordo ma senza entusiasmo”. La voce del padrone, dunque, s’è fatta sentire. E l’Europa ha scricchiolato. Come mai prima d’ora.
Parigi infuriata: “Sottomissione”
Pure perché, da Parigi, s’è alzata la protesta di chi, nell’intesa sottoscritta da Ursula, ci ha visto un atto di “sottomissione”. Il premier transalpino François Bayrou ha deplorato, con forza, l’intesa: “È un giorno triste quando un’alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”. Parole durissime che pesano, eccome, a Bruxelles. La Francia non difende una vocazione alla grandeur che pare fuori moda e sorpassata ma difende un’idea d’Europa come quella che, ai tempi, fu propugnata dal generale Charles De Gaulle. Un’Europa che resterà un sogno, sempre più superato dai fatti, dagli eventi, dalla storia. Una delusione così rischia di far traballare quel che rimane della fiducia nell’attuale classe dirigente comunitaria. Almeno a livello dei singoli Stati. I funzionari corrono ai ripari. Fanno sapere che l’accordo non mette in discussione la web tax né le tassazioni e i rapporti su Big Tech. Raccontano che è tutto ancora da scrivere. Ma chi doveva parlare, ha già parlato: i mercati. Le Borse in tutta Europa hanno chiuso col segno meno. A Francoforte, giù dell’1,14%. Parigi in calo dello 0,43%, praticamente immobili Milano e Madrid. Non è un buon segno. I mercati non avrebbero digerito un altro Taco ma un accordo così è difficile da mandar giù. Persino per loro.
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