Editoriale

L’annus politicus

di Tommaso Cerno -


Per la prima volta l’esito non è così facilmente prevedibile. A Bruxelles lo scenario di continuità con la Commissione von der Leyen è più nelle menti della politologia che in quelle dei cittadini esausti. E l’Italia gioca un ruolo chiave nella partita che Giorgia Meloni comincia fra pochi giorni. Il governo di destra del Paese fondatore che ha convinto i vertici europei che una alternanza è possibile senza stravolgimenti o catastrofi potrebbe rivelarsi uno strano elemento di riequilibrio fra forze politiche che in Italia sono molto distanti fra loro ma in Europa potrebbero costruire una rinnovata alleanza.

E non parlo dell’alleanza ormai possibile fra popolari e destre. Ma addirittura di un asse più ampio che veda i socialisti europei meno ostili a un campo largo di quanto saranno in patria i due leader della sinistra Elly Schlein e Giuseppe Conte. Anche perché qui da noi le partite sono molte. La più importante riguarda la conferma non solo della leadership di Meloni alla guida del primo partito italiano ma anche il rinnovato equilibrio con le forze di destra che compongono il suo governo, in una competizione proporzionale dove il premier deve ottenere un buon risultato ma deve anche cercare di non cannibalizzare i suoi alleati per evitare che una vittoria troppo monocolore disturbi l’andamento non lineare ma stabile della coalizione uscita dalle politiche del 2022.

A sinistra si gioca una specie di duello, simile più alle primarie di coalizione che a una vera e propria corsa per ribaltare gli equilibri politici nazionali. In questa corsa i due contendenti Schlein e Conte hanno entrambi un vantaggio e uno svantaggio sull’altro. Schlein guida un partito frammentato che ancora non ha digerito l’esito imprevisto delle primarie e la bocciatura di Bonaccini e dell’area riformista del Pd. E questo comporta il rischio che una parte dei democratici si disimpegni o addirittura scommetta su un risultato modesto nell’ottica di ricostruire la leadership della sinistra dopo le Europee anziché incoronare Elly come capo fino alle prossime politiche. Il vantaggio del segretario dem, invece, è rappresentato dal fatto che le elezioni europee per il Pd sono una comfort zone, ovvero il mare più adatto alla barca progressista che storicamente è capace di attrarre il consenso culturale di una parte del Paese che vota contro Meloni e il suo governo.

Conte sta nella situazione opposta: è molto più libero nei temi e nei toni della campagna elettorale che i 5Stelle decideranno di fare, non avendo un problema di rapporti e di correnti. Ma al tempo stesso la radicalizzazione a sinistra del partito che ebbe il suo record storico quando le sue sembianze erano poliformi rischia di schiacciarlo a sinistra del Pd. Staremo a vedere, così come capiremo quanto le più strane elezioni presidenziali americane della storia, quelle che per ora vedono in campo l’anziano Biden colpito dalle indagini sulla famiglia e dall’impeachment contro il redivivo Trump incastrato fra processi e sentenze di Corte suprema che vorrebbero sbarrargli la strada per la Casa Bianca ma che nei sondaggi americani gli stanno invece tirando la volata.

Perché le elezioni europee cadranno nel pieno della campagna elettorale americana, i cui temi generali e le cui tendenze culturali hanno sempre influenzato anche l’elettorato europeo. L’esito congiunto di questi due voti spiegherà al mondo ormai diviso quale sia il volto dell’Occidente democratico in crisi che sfiderà la mappa geopolitica andata in frantumi negli ultimi due anni con una proposta di ridefinizione del ruolo di Washington e di Bruxelles sullo scacchiere internazionale, dove non c’è spazio per un mondo monocolore. Da queste due sfide dipende anche l’esito dei due conflitti che si incastrano in questa delicata fase e che da gennaio capiremo su che strada stanno andando, se quella della via diplomatica finora ritenuta impercorribile o quella di una radicalizzazione dello scontro che sposta davvero le due guerre dal piano territoriale a quello globale.


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