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Economia

Morire di lavoro nel Paese dei salari poveri

di Giovanni Vasso -

Mazzi di fori e un casco di protezione giallo, con disegnato su un lato un cuore rosso che sanguina, su di uno scalino di una porta d'ingresso della stazione di Brandizzo, nel Torinese, dove cinque operai sono morti travolti da un treno, 3 settembre 2023. ANSA/CLAUDIA TOMATIS


Si muore di lavoro, si muore per un tozzo di pane. Fuor di retorica. Perché, in Italia, si muore per un salario che non cresce e che si conferma tra i più bassi d’Europa. Solo ieri, in poche ore, si sono registrati tre decessi, tre incidenti fatali. Da Nord a Sud, dal Friuli alla Campania. A Sant’Antonio Abate, in provincia di Napoli, un operaio di 50 anni, originario di Vico Equense ma residente a Gragnano, ha perduto la vita dopo essere rimasto incastrato in un nastro trasportatore nell’azienda di rifiuti presso cui lavorava. A Maniago, vicino Pordenone, nella notte tra lunedì e martedì un 22enne è stato investito e ucciso, praticamente sul colpo, da una scheggia incandescente. Partita, a quanto pare, da una macchina utilizzata negli stabilimenti di un’impresa di stampaggio di ingranaggi industriali. Per il giovane operaio, nonostante i soccorsi, non c’è stato nulla da fare. Infine, l’ultimo incidente s’è verificato sull’autostrada A1, all’altezza del chilometro 446, presso Orvieto. Un operaio, alle dipendenze di una ditta che stava svolgendo dei lavori di manutenzione ordinaria su quel tratto autostradale, è stato travolto e ucciso da un autocarro di passaggio. In tutti e tre i casi sono state disposte altrettante inchieste. Toccherà agli inquirenti fare chiarezza su quanto accaduto e sulle eventuali responsabilità. Intanto scatta l’ora del cordoglio e della rabbia. I sindacati chiedono alle istituzioni di far seguire i fatti alle parole. La segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, ha denunciato: “Purtroppo è una strage che non finisce mai” e ha affermato che “quello che è stato realizzato con il decreto del governo è importante ma al momento non è sufficiente”. Per la leader sindacale: “Bisogna assolutamente investire in prevenzione, in maggiori controlli, mettere a sistema le banche dati, fare una formazione molto forte a partire dalle scuole perché pensiamo che è lì che si debba creare una coscienza della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. Per la Cisl è importante sottolineare un principio: “Investire in sicurezza non è mai un costo, è il modo per qualificare l’impresa, qualificare il lavoro – ha sottolineato Fumarola – è fare in modo che chi esce da casa per andare a lavorare possa tornarci”. La segretaria confederale Cgil Francesca Re David ha attaccato senz’appello la miopia di una certa parte della classe datoriale: “Tre operai di 22, 38 e 50 anni sono le ultime vittime di una strage infinita sul lavoro. Queste tragedie, che affondano le loro cause nel risparmio ad ogni costo, nella fretta, nella mancanza di investimenti e di controlli, non possono essere fermate con interventi più o meno burocratici”. Per la dirigente sindacale “la svalorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori è la vera responsabile di queste morti e nessun appello generico alla cultura della sicurezza può essere efficace senza una cultura della centralità della persona sul profitto”. Quindi la Cgil ha rimarcato che “con i referendum sul lavoro dell’8 e del 9 giugno vogliamo invertire questa logica intervenendo sulle responsabilità nella catena degli appalti e sulla precarietà: senza questo cambio di paradigma la strage non si fermerà”.

Le tre morti sul lavoro registratesi nel giro di poche ore hanno riportato d’attualità anche la questione dei salari. Nei giorni scorsi, infatti, l’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, ha sonoramente bocciato le imprese italiane. Stando ai numeri diffusi in un report, infatti, i salari italiani sono quelli che, più di tutti gli altri almeno nelle economie del G20, hanno perduto valore nel corso degli anni. Dal 2008 a oggi, si sono “svalutati” in termini reali dell’8,7%. E se le perdite non sono state anche maggiori è stato solo perché, nel 2024, qualche (seppur timido) segnale di ripresa s’è registrato. L’anno scorso, difatti, i salari reali sono cresciti del 2,3%. Bene, ma non benissimo considerando che nel 2022 e nel 2023 la perdita era stata, rispettivamente, del 3,2% e del 3,3%. Un’inversione di tendenza che Maurizio Landini, segretario generale Cgil, accredita al rinnovo di “tanti contratti collettivi” che però “non compensa la fiammata inflattiva degli anni 2022 e 2023”. Per Landini il governo “non prende in considerazione la detassazione degli aumenti salariali come da tempo chiediamo e non combatte il dumping attraverso una legge sulla rappresentanza, né sostiene la contrattazione attraverso l’introduzione del salario minimo. Le imprese, invece, devono garantire il rispetto dei tempi del rinnovo dei contratti e prevedere aumenti salariali ben oltre l’inflazione per recuperare anche le perdite dei periodi pregressi e redistribuire la produttività”.


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