Editoriale

Le europee dei leader

di Adolfo Spezzaferro -


Le elezioni europee di giugno sono molto importanti, sia per il quadro globale critico in cui dovrà muoversi l’Unione europea, sia per l’impatto sulla politica nazionale, più forte delle altre volte. Chi avrà la maggioranza al Parlamento europeo e come sarà di conseguenza composta la Commissione Ue sono dirimenti per tutta una serie di ragioni. Dalla crisi economica acuita dalla doppietta ferale lockdown da Covid-guerra in Ucraina alle ipoteche sul futuro dell’eurozona, imposte della folle agenda green. Ecco perché, mentre dagli States arrivano di continuo sondaggi sulle presidenziali – a maggior ragione elezioni cruciali in uno scenario globale multilaterale -, anche in Italia le previsioni sull’esito del voto di giugno assumono un’importanza quasi più del dovuto. Ne va degli equilibri della maggioranza di governo così come di quelli dell’opposizione. Se nel centrodestra per i due alleati del primo partito per consensi, Fratelli d’Italia, ossia Lega e Forza Italia è fondamentale non perdere (troppi) voti in favore di FdI, nel centrosinistra il Pd teme un buon risultato del M5S. Situazione in cui va da sé che la differenza potrebbe farla la discesa in campo dei leader. Soprattutto della premier Giorgia Meloni come capolista di FdI e della Schlein come capolista del Pd. Al netto delle inutili polemiche sul fatto che se ti candidi poi devi andare a Strasburgo in caso di elezioni, quanto vale una candidatura della Meloni alle europee? Secondo un sondaggio Noto per Porta a Porta, la premier capolista porterebbe FdI dal 28 al 30 per cento, doppiando il consenso di una discesa in campo della Schlein, che garantirebbe al Pd un solo punto in più, portandolo dal 19,5 al 20,5 per cento. In attesa che le dirette interessate sciolgano la riserva, il sondaggio mette a confronto i risultati dei singoli partiti con o senza il coinvolgimento diretto dei rispettivi leader. Al di là di FdI e Pd, la presenza o meno dei leader cambia invece il risultato degli altri partiti, con un’oscillazione per lo più di mezzo punto percentuale a vantaggio di questa o quella formazione. Ma attenzione, a beneficiare più di tutto della candidatura dei big, però, sarebbe la partecipazione al voto: l’affluenza passerebbe dal 49 al 53 per cento.
Nel dettaglio, il sondaggio di Noto rivela che, senza la candidatura dei leader, il risultato dei partiti sarebbe: FdI al 28%; la Lega all’8%; Forza Italia al 7,5%. Nell’opposizione il Pd otterrebbe il 19,5%; Alleanza Verdi-Sinistra il 3,5%, dunque sotto la soglia di sbarramento. Stati Uniti d’Europa, la creatura di Renzi e Bonino al suo debutto nel sondaggio, il 4,5%, riuscendo a superare la soglia di sbarramento. Le new entry riferite a Santoro e De Luca si fermerebbero al 2%, mentre il Movimento 5 Stelle targato Conte è quotato al 16,5%, Azione di Calenda poi si fermerebbe al 3,5%, restando al di sotto della soglia di sbarramento. Con le candidature di Meloni, Schlein, Tajani, Renzi, Bonino, Santoro e De Luca è tutto un altro discorso. FdI passerebbe dal 28% al 30%, mentre la Lega scenderebbe al 7% e sarebbe superata da Forza Italia che, invece, raggiungerebbe l’8%. In totale la coalizione del centrodestra aumenterebbe di un punto e mezzo, passando dal 43,5% al 45%. Con Schlein capolista il Pd arriverebbe al 20,5%, mentre Avs calerebbe al 3%, allontanandosi ancora di più dallo sbarramento. Stati Uniti d’Europa con le candidature di Renzi e Bonino arriverebbe al 5%. Lo schieramento nel complesso salirebbe al 28,5%. Il M5S calerebbe al 15,5%, mentre Azione, sia con le candidature del leader che senza, resterebbe al 3,5%. I sondaggi vanno presi con le pinze, è vero. Ma se i leader spostano voti qualcosa significa: che il premierato è la riforma che ci vuole per questo Paese dove un elettore su due non vota.


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