Cultura & Spettacolo

LIBERALMENTE CORRETTO – Dante e la politica

Nelle terzine del Sommo Poeta le parole rivolte al mondo moderno e all'attualità

di Michele Gelardi -


Dante e la politica moderna: contro lo Stato etico e la tecnocrazia, una lezione di libertà dalla “Divina Commedia”

Le terzine della “Divina Commedia” parlano al mondo moderno con rinnovata attualità. A 700 anni dalla morte, i sublimi versi del Sommo Poeta, con le loro allegorie, svelano un tesoro di saggezza universale e senza tempo, vivificato dalla fede cristiana, che spazia dallo splendore del vero, al primato della morale, alla difesa della vita, alla “semenza” dell’uomo etc.

Lo evidenzia con acutezza Daniele Fazio nel suo recente libro “Le stelle di Dante”. Tra le terzine citate, ne scegliamo una che ci pare particolarmente significativa, in relazione alle problematiche politiche della modernità. In paradiso Dante si avvale della guida di Tommaso d’Aquino; nel quarto cielo del Sole, il grande teologo gli si rivolge con queste parole: “Non ho parlato sì, che tu non posse – ben veder ch’el fu re, che chiese senno – acciò che re sufficiente fosse”.

Si riferisce al re Salomone, che chiese a Dio il dono della sapienza necessaria per governare. Necessaria, ma anche “sufficiente”, ai fini del suo ufficio, che consiste essenzialmente nel discernere ciò che realizza l’interesse del popolo governato. Come chiosa Fazio, non si tratta della sapienza intellettuale dello scienziato, né di quella del filosofo moralista, bensì della capacità di esercitare la sola ragione naturale, bastevole di per sé per governare con giustizia e rettitudine.

In sintesi, Dante distingue la sfera della politica da quelle contigue, della morale religiosa e della scienza, le quali alimentano per altre vie, ma non determinano, il giusto discernimento nelle questioni pratiche. Il re non si sostituisce al chierico, né allo scienziato.

Dante, la politica e l’attualità del messaggio

L’attualità del messaggio è fin troppo evidente. Oggi più che mai, è necessario recingere il campo della politica, per non correre i rischi apparentemente contrapposti, ma in realtà convergenti, dell’assolutezza e della subalternità. Il primo rischio si palesa quando lo Stato moderno smarrisce l’autentica laicità, per abbracciare un nuovo credo parareligiso, “laicista” e “politicamente corretto”, in virtù del quale diventa educatore e precettore. In altri termini, diventa chierico, seppure non clericale; rimane estraneo e indifferente alla chiesa, ma esso stesso si fa chiesa, giacché pretende di indirizzare le coscienze degli uomini fin nelle minuzie della vita privata.

Lo Stato che fa la morale, sostituisce la famiglia, monopolizza l’istruzione e l’educazione, avrà pure le sembianze democratiche, ma puzza di assolutismo. Il rischio dello Stato etico non si è dissolto una volta per tutte con la fine delle dittature del novecento; un novello assolutismo è dietro l’angolo, nelle sembianze edulcorate e suadenti dello Stato tutore e istitutore. A ben vedere, l’insana commistione della morale e della politica non è mai morta.

Il secondo rischio si palesa quando la politica abdica al suo ruolo in favore della scienza e della tecnica. L’autorità politica diviene subalterna ai vari “comitatoni” tecnoscientifici, nazionali e sovranazionali, quando affida loro le decisioni ultime per fronteggiare le catastrofi annunciate (climatica, ambientale, sanitaria etc.), vere o presunte. A misura che si amplificano le innumerevoli “emergenze”, cresce il ruolo della tecnocrazia “provvidenziale”, che sostituisce ancora una volta il chierico.

Ma per altre vie cresce anche la tecnocrazia “ordinatrice”, la quale controlla ognuno di noi, con l’accumulo di dati elettronici, e tende a programmare la dinamica sociale mediante l’intelligenza artificiale. La tecnocrazia non è meno pericolosa della politica ipertrofica.

Insomma il surrogato di Dio, a seconda dei casi, veste i panni del politico o del tecnico. Alla fine dei conti, l’assolutismo e la subalternità della politica sono entrambi correlati alla morte di Dio, perché sono figli della stessa presunzione fatale che deifica la “Ragione”. I limiti della natura umana sono ignorati, sia quando il politico presume di pianificare il corso della “Storia”, sia quando il tecnocrate vuole “salvare” l’umanità; mentre la supposizione di Dio tiene a freno la “provvidenza”, politica o tecnocratica che sia.
E allora, in ultima analisi, la strada indicata dal Divin Poeta non è forse la migliore, per preservare la nostra libertà?


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