Editoriale

L’immigrato dal futuro

di Tommaso Cerno -


Come un immigrato dal futuro, Elon Musk si presenta all’Italia con un figlio in groppa. E subito scattano polemiche non tanto su di lui, quanto su come abbia fatto i suoi figli. Mentre ciò che doveva colpire è che una volta 11 figli li facevano i poveri. Oggi li fa l’uomo più ricco del mondo. E che è proprio lui a invitare gli italiani a non disperdere la propria cultura e la propria natura cercando di mettere al mondo ancora qualche discendente.

Quello che non dice e che potrebbe essere il punto di incontro fra destra e sinistra in materia di famiglia e immigrazione è che se siamo tutti d’accordo che ci vuole qualche italiano in più, nel vecchio senso della parola, è anche vero che politiche anche molto efficaci su questo tema produrrebbero un effetto sul mondo del lavoro non prima di vent’anni e quindi nel frattempo serve capire come l’immigrazione oggi fuori controllo, soprattutto culturale più che logistica, possa diventare davvero integrazione e formare dei cittadini europei adatti ad essere fra qualche tempo parte di una società nuova che ha nell’Italia una delle sue spinte e radici.

Ma in Italia non si parla di questo, bensì di chi la spara più grossa. E invece come Musk, oggi solo chi scappa dalla sua terra si mostra con un figlio in braccio. E qualcosa vorrà pur dire.

Così come pensare che Atreju caschi proprio a Natale, quando la cultura cristiana dell’Occidente, quella più lontana da Dio e più secolarizzata della storia dell’uomo, si ritrova per una volta all’anno attivata nella modalità “sentimentale” invece che in quella statistica. Lo fa solo a Natale quando celebra la nascita di un bambino. E di uno che ha come padre Dio, metafora che dovrebbe farci riflettere sul ruolo di chi verrà dopo di noi e su come ciò che noi tramandiamo oggi sia precario e abbia bisogno, comunque la si pensi, di maggiore stabilità.

Perché vedere il mito più antico della cristianità, che per noi europei è comunque l’origine della nostra storia, e l’uomo che ha pensato il futuro come possibile oggi parlarci di un bambino, ci pone di fronte a un interrogativo. Ma davvero l’umanità sta seguendo un percorso definito che deve portarci in un luogo già deciso oppure come avvenne nella storia duemila anni fa, così come per altre culture in altri anni zero che a noi sembrano lontani e diversi ma che sono in tutto simili nella sostanza antropologica, può scegliere oggi di progettare e vivere un cambiamento deciso da noi? Un nuovo umanesimo che metta la mente al centro di un processo di ridefinizione della società in una dimensione più vasta di quella che la storia finora ci ha mostrato, stretta in continenti e Stati, ma con la capacità di avere non solo una testimonianza futura delle grandi culture che hanno costruito il pensiero, ma addirittura una maggiore presenza di ognuno di noi, singoli e diversi, in questo processo comune di avanzamento verso l’ignoto. Parlare di Marte significa avere risolto prima le questioni sulla Terra.

E su questo non bastano bravi ingegneri né ingenti capitali miliardari. Serve una visione ispirata. Ecco perché quel miliardario pazzo con il bambino in groppa è un simbolo della necessità che il mondo oggi ha di fronte: scegliere dove andare. Alla luce di questo il dibattito su come possa esistere una dimensione dialettica fra una destra e una sinistra diventa non solo naturale ma indispensabile. Ed è evidente che questa dialettica non potrà mai esistere in Italia se una parte politica, tra l’altro quella che si definisce più avanzata, fonda sullo Stato etico il primato che dovrebbe garantire il governo. Uno Stato etico che durerà molto poco nella sostanza ma che oggi rende evidente un vulnus democratico.

Non può esistere un difensore della libertà e del diritto costituzionale che non afferma la legittimità dell’avversario che quelle leggi e quella libertà hanno portato a prendere le decisioni in questo tempo. Questo è il motivo vero per cui Elly Schlein non è salita sul palco di Atreju. Ma è anche la ragione per cui ha sentito la necessità di mettere in fretta e furia in piedi una specie di contromanifestazione che attesta
per il fatto stesso di essersi svolta in quelle stesse ore il senso di inferiorità politica che la sinistra oggi nasconde con generici insulti e critiche distanti da quel progetto alternativo di Paese e di pianeta che si pretende da una forza politica che si autodefinisce figlia di un progressismo che ha cambiato il Novecento e ha seminato la cultura del dubbio. Finché il leader democratico non capirà questo avrà sempre degli strani antagonisti nel proprio campo, che contenderanno al Pd non solo il ruolo egemone dentro l’opposizione ma perfino la leadership dell’eventuale campo progressista. Semmai l’Italia ne avrà ancora uno.


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