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Mancini, Gravina e i sauditi: l’Italia all’anno zero nel pallone

di Giovanni Vasso -

MARCO MAZZOCCHI GIORNALISTA, GABRIELE GRAVINA PRESIDENTE FIGC, PAOLA FRASSINETTI SOTTOSEGRETARIA MINISTERO ISTRUZIONE, ROBERTO MANCINI COMMISSARIO TECNICO NAZIONALE CALCIO ITALIANA


Mancini, Gravina e i sauditi. Italia, anno zero nel far west del pallone. Una Pec batte il mezzogiorno di fuoco. Un Ferragosto di pallottole e veleni. Il triello su un carillon che suona un valzer più triste di quello di Shostakovic.

Il buono, indubbiamente lui: Roberto Mancini. Clint Eastwood da Jesi, senza sigaro, elegantissimo come Callaghan. L’aver vinto un Europeo, l’averlo fatto contro gli inglesi in casa loro, a Wembley, gli ha consentito di ottenere un credito che mai s’era affidato a nessun cittì della Nazionale. Dopo aver ciccato, per la seconda volta di fila, la qualificazione ai mondiali nessuno s’è azzardato nemmeno a pensare di torcergli il ciuffo. Eppure, detto tra noi, ha fatto molto peggio di Gian Piero Ventura. Perché l’ex mister Libidine, finito poi a Innominabile della pedata nazionale insieme alla buon’anima di Tavecchio, almeno era uscito contro la Svezia che almeno un pedigree futbolistico ce l’ha. Mancini e i suoi si sono fatti buttare fuori dalla semisconosciuta, calcisticamente parlando, Macedonia del Nord. E lo hanno fatto dopo aver buttato alle ortiche il cammino dei gironi e almeno un paio di match point: ricordate il rigore fallito da Jorginho? Il cammino verso le qualificazioni per il prossimo Europeo è cominciato in salita e proprio quando il gioco iniziava a farsi duro, il buono ha preferito voltare le spalle a tutti. Ma non è stata solo colpa sua, a quanto pare.

Il brutto. Che poi a passare da eroi nazionali a traditori ci vuole poco, in questo Paese. Il brutto, si diceva, non ha un volto. Non sono i peones di un redivivo Gian Maria Volonté, El Indio. Non sono i punk che infestano le strade di San Francisco. No. Non ce l’hanno un volto, figurarsi se ha la verve e l’ironia carismatica di un Eli Wallach. È smaterializzato, senza faccia ma con un portafogli più profondo della Fossa delle Marianne. Come può esserlo un fondo, immenso, di Stato. Quello dell’Arabia Saudita. Le voci che corrono dicono che al Mancio sarebbe stata fatta una di quelle offerte che non si possono rifiutare. Sessanta milioni a stagione per costruire la Nazionale saudita che verrà. I media sauditi ci credono. E sognano che Mancini possa rappresentare, per il calcio delle nazionali, ciò che sta rappresentando Cristiano Ronaldo per i club: il passepartout per la costruzione di un movimento rispettabile che faccia di Riyadh un punto di riferimento per le comunità islamiche di tutto il mondo. La strategia di Vision 2030, insomma, potrebbe passare anche per l’approdo tra le dune dell’Arabia, mai così Felix per chi fa calcio, di Roberto Mancini.

Cattiva, Federazione. Che, incassata la Pec del Mancio, gli ha fatto ciao-ciao con la manina, lasciando intravedere un (bel) po’ di rancore. Annunceranno a breve il suo successore. Dicono che sarà Luciano Spalletti. Se così fosse, ci sarebbe ben da far dietrologie: perché il conquistare del terzo scudetto del Napoli si è detto interessato solo ed esclusivamente a un anno sabbatico? Forse aveva già qualcosa in mente? Già pensava a tornarsene, dopo anni a peregrinare per l’Italia, nella sua Toscana, via Coverciano? Per adesso, tutte illazioni, tutte ipotesi, tutti scenari. Roba da chiacchieroni, altro che il mutismo fulminante di un Lee Van Cliff, spigoloso da farti male solo con uno sguardo dei suoi. No, chiacchiere e ancora chiacchiere. Buone per impegnare l’ozio ferragostano, per far conversazione, magari per dar più sapore all’insalata sciapa nell’attesa che la carne sia cotta sul barbecue, ottimi per far clic: sbatti il mostro in prima pagina, se è un “mostro” di bravura come Spalletti, meglio ancora.

Ma di fronte alle suggestioni e ai pensieri che vanno, vengono, costruiscono miti e decostruiscono delusioni, c’è la realtà, durissima, con la quale fare i conti. Le nazionali non ingranano, sia quella maschile che quella femminile (che almeno ai mondiali ci è arrivata anche se poi ne è uscita non proprio alla grandissima), solo l’Under 19 di Stefano Bollini è riuscita a vincere un titolo, le altre rappresentative non hanno brillato granché. Sarebbe ora che qualcuno ci mettesse la faccia. Dal momento che lo sanno tutti a via Allegri, anche Gravina: l’addio di Mancini, sancisce la fine di una strategia totalmente imperniata su di lui. Per ricostruire è necessario un cambio di passo. Il calcio italiano, al di là dei risultati sportivi, non è mai stato così depresso quanto lo è oggi. Forse un cambiamento potrà essere utile, almeno, a dare una scossa all’ambiente. Dopo Mancini, dopo i sauditi, magari anche dopo Gravina. O chi per lui. L’Italia parte dall’anno zero.


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