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Messi non gioca e a Hong Kong diventa un affare di Stato

di Giovanni Vasso -


Leo Messi non gioca e a Hong Kong l’assenza del campione argentino diventa un caso di Stato. Il governo locale s’è infuriato con l’Inter Miami, la franchigia della lega americana di soccer (Mls) di cui David Beckham è presidente. La squadra Usa aveva deciso di accettare la proposta di prendere parte a un’amichevole contro una selezione di talenti, o presunti tali, locali. A un patto, che sarebbe stato imposto dagli organizzatori: Messi viene a Hong Kong per giocare. Almeno 45 minuti. Così, reclamizzando l’arrivo del campione del mondo in carica, della Pulce che si è trasformato in fenomeno globale prima e leggenda (vivacchiante per ragioni d’età) del calcio adesso, i biglietti per la super-sfida in terra d’Asia sono stati piazzati a costi esorbitanti: per assistere alle giocate dell’argentino, infatti, c’è stato chi ha sborsato fino all’equivalente di 600 euro.

Quando il grande giorno è arrivato, per il pubblico dell’Hong Kong Stadium c’è stata un’amara sorpresa. Leo Messi non s’è nemmeno alzato dalla panchina. E l’allenatore del club, Tata Martino, ha negato ai tifosi persino la consolazione di far entrare in campo quell’altro campione in forza alla squadra rosanero che risponde al nome di Luis Suarez. Il pubblico di Hong Kong, a quel punto, s’è sentito defraudato del “diritto” di vedere in azione i suoi idoli. E se all’intervallo tra primo e secondo tempo c’era chi rumoreggiava, ecco che al triplice fischio finale dalle tribune è salito un urlo: “Refunds!”, ovvero Rimborsateci”.

A quel punto, David Beckham – che è stato forse il primo calciatore europeo a diventare una superstar globale del football – ha tentato di salvare il salvabile. Ha imbracciato il microfono ed ha provato ad arringare la folla con un po’ di quel calcisticamente corretto che fa sempre scena. Ma le cose non sono andate come sperato. Anzi, è andata un po’ nel cult Febbre da Cavallo quando Gigi Proietti Mandrake sul treno, alla vista del controllore, tenta di esibire il suo sorriso magico senza sortirne effetti apprezzabili se non nella battuta tagliente, oggi impronunciabile, del suo compare Pomata, impersonato da Enrico Montesano.

Dalle gradinate è piovuto (verbalmente) di tutto: fischi, ululati, improperi, moduli di rimborso, accuse.  Lo staff medico dell’Inter Miami ha provato a spiegare che Leo Messi non ha giocato nell’incontro amichevole dell’Hong Kong Stadium per via di disordini al ginocchio. Ma la gente aveva pagato fior di quattrini per vedere la Pulce saltellare, dribblare, fare faville. A un certo punto è sceso in campo direttamente il governo locale. E ha minacciato di revocare un finanziamento pubblico da 1,9 milioni concesso all’organizzazione di Tatler Asia per l’amichevole: “Ci hanno ribadito che Messi avrebbe giocato nel secondo tempo, era una delle condizioni principali del nostro accordo di finanziamento”, ha tuonato Kevin Yeung, segretario per cultura, sport e turismo a Hong Kong.

Ma i guai per la franchigia di Beckham, Messi, Suarez e Tata Martino potrebbero essere appena iniziati. Dell’Inter Miami, in sé, non frega granché a nessuno. Tuttavia il club è diventata una potenza di marketing grazie al fatto di aver ingaggiato il supercampione argentino. Un po’ come è accaduto all’Al Nassr con l’eterno arcirivale Cristiano Ronaldo. Solo che, a differenza della Saudi Pro League, nell’affare ci sono potenze economiche occidentali di primissimo piano. Beckham dovrà gestire benissimo il misunderstanding. Altrimenti il rischio sarà quello di perdere quota in un mercato ricchissimo per il calcio come è quello asiatico a favore della solita Premier che non vede l’ora di stroncare ogni rivale.


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