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Esteri

Migranti, svolta e stretta Ue: l’Italia riapre all’Albania

La nuova lista dei Paesi sicuri, l'ipotesi di hub in Stati terzi

di Giorgio Brescia -


L’Italia spinge sull’Albania dopo la svolta Ue: Bruxelles consente centri di rimpatrio per i migranti fuori Ue e vara regole più dure. Bangladesh, Egitto e altri nella lista dei Paesi sicuri. Allarmate le opposizioni.

Il Consiglio Ue ha dato il via libera a un pacchetto che stringe le regole su asilo e rimpatri, autorizzando “return hub” in Paesi terzi e allungando i tempi di detenzione per migranti irregolari. Alcuni Paesi entrano nella lista di “origine sicura”: Bangladesh, Egitto, India, Kosovo, Marocco, Tunisia e altri.

Il governo italiano torna a proporre i centri in Albania, le opposizioni temono una nuova stagione di espulsioni rapide e minori garanzie per richiedenti protezione.

Cosa cambia davvero: hub esterni, detenzioni, procedure accelerate

L’accordo approvato al Consiglio dell’Unione Europea consente, per la prima volta, la creazione di “return hub” — centri di rimpatrio in Paesi extra-Ue. Centri che potranno ospitare persone che l’Unione giudica irregolari e sprovviste di protezione, in attesa del loro rimpatrio.

Le nuove regole stabiliscono che, per chi non ha diritto a rimanere, sono previsti obblighi stringenti: lasciare il territorio, consegnare documenti di viaggio o d’identità, fornire dati biometrici, collaborare con le autorità. Se non collaborano, rischiano la revoca di permessi di lavoro, benefici e perfino sanzioni penali che includono la reclusione.

Gli Stati membri potranno anche imporre detenzioni più lunghe del normale, in particolare sui casi considerati a rischio sicurezza.

La mutual recognition

In più, viene uniformato il meccanismo di “mutual recognition”: se uno Stato emette un ordine di rimpatrio, un altro Stato membro potrà riconoscerlo e applicarlo direttamente, senza riaprire la procedura.

Ciò punta a rendere più efficaci i ritorni e impedire che una persona respinta semplicemente passi in un altro Paese Ue per evitare l’espulsione.

I Paesi sicuri

Tra i Paesi non-Ue inseriti nella lista figurano: Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco, Tunisia.

Inoltre, anche alcuni Paesi candidati o potenziali candidati all’Unione — come l’Albania, la Bosnia ed Erzegovina, la Macedonia del Nord, la Serbia, tra gli altri — possono essere considerati “Paesi di origine sicuri”, salvo che non sussistano conflitti o gravi violazioni dei diritti umani.

Questo significa che migranti o richiedenti asilo provenienti da questi Paesi potranno essere soggetti a procedure accelerate, respingimenti, rimpatri o trasferimenti in hub esterni, potenzialmente senza esame completo del merito delle loro richieste.

Le ragioni del cambio di paradigma, le critiche

Per i promotori dell’accordo servono regole più snelle e uniformi tra gli Stati membri per gestire meglio i flussi migratori. E l’obiettivo è dare “una sensazione di controllo” all’opinione pubblica europea, piuttosto che rispondere a un’emergenza reale (gli arrivi irregolari sono in calo).

Tuttavia la creazione di hub in Paesi terzi suscita forti perplessità. Già nel 2025 l’European Union Agency for Fundamental Rights aveva avvertito che quei centri non possono diventare “zone senza diritti”: devono rispettare standard internazionali, garantire il principio di non respingimento e prevedere monitoraggio indipendente.

Critiche arrivano anche da alcuni Stati membri, come Francia e Spagna, che sottolineano le difficoltà pratiche di gestire centri al di fuori dell’Ue. E ricordano che la giurisprudenza europea — in particolare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea — aveva già stabilito che non basta una designazione generica di “Paese terzo sicuro”: ogni trasferimento dev’essere valutato caso per caso, con garanzie giurisdizionali individuali. In assenza di un quadro normativo chiaro, quei centri rimangono fortemente contestati.

Cosa comporta per l’Italia, la riapertura all’Albania

Per l’Italia l’accordo rappresenta una potenziale riapertura del modello che prevede hub esterni, in particolare in Albania. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi vede l’intesa come una conferma delle politiche migratorie del governo e uno strumento per rendere effettivi i decreti di espulsione oggi bloccati da ricorsi e contenziosi.

Se i centri albanesi dovessero essere nuovamente attivati, l’Italia potrebbe trasferirvi i migranti irregolari o i richiedenti asilo respinti al di fuori dell’Unione, in attesa di rimpatrio.

Leggi anche La guerra dei numeri sui centri in Albania

Una svolta

Il pacchetto varato dal Consiglio Ue segna una svolta istituzionale nella politica migratoria europea: le procedure di rimpatrio si standardizzano, le detenzioni si allungano, si apre la porta a “hub” esterni.

Resta un nodo cruciale: quei centri devono rispettare diritti fondamentali. Senza garanzie effettive, monitoraggio indipendente e possibilità di ricorso legale caso per caso, il sistema rischia di violare principi base di tutela umanitaria e asilo.

Una partita politica ancora aperta. L’intesa dovrà passare all’esame del Parlamento europeo. Intanto la pressione sui centri come quelli in Albania ritorna forte, e con essa le tensioni fra esigenze di rimpatrio e diritti umani.


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