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Attualità

Morto l’architetto Frank Gehry: progettò il Guggenheim di Bilbao

di Eleonora Ciaffoloni -


Frank Gehry, considerato uno dei più influenti architetti contemporanei, è morto all’età di 96 anni nella sua abitazione di Santa Monica, a causa di una breve malattia respiratoria. Figura rivoluzionaria della progettazione del Novecento e del nuovo millennio, Gehry ha saputo trasformare l’architettura in un’arte dinamica, capace di emozionare come una scultura e di ridisegnare il modo in cui le città raccontano sé stesse.

Frank Gehry e il salto con il Guggenheim di Bilbao

La sua fama esplose definitivamente nel 1997 con il Guggenheim Museum di Bilbao, un edificio rivestito di titanio che cambiò per sempre il destino della città basca. Le forme sinuose e ribelli, i volumi che sembravano nascere dalla terra per poi dispiegarsi nel cielo e l’uso innovativo di materiali industriali resero l’opera un’icona immediata. Quel progetto diede vita al celebre “effetto Bilbao”, diventato un paradigma dell’urbanistica contemporanea: la dimostrazione che un singolo edificio di forte impatto può rilanciare un’intera area urbana da un punto di vista culturale, turistico ed economico.

Il curriculum di Gehry, vincitore del Pritzker Prize e del Praemium Imperiale, è costellato di opere che hanno segnato il paesaggio globale. Tra queste la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, con le sue vele metalliche che sembrano muoversi come un’orchestra; la luminosa Fondazione Louis Vuitton a Parigi, definita da molti come un sogno di vetro; la celebre Dancing House di Praga, capace di evocare il passo di una coppia di ballerini. Gehry ha inoltre rinnovato in profondità il Museum of Fine Arts di Filadelfia, intervenendo negli spazi interni con un approccio quasi chirurgico.

Avanguardista anche sul piano tecnologico, il suo studio ha introdotto nell’architettura software di modellazione derivati dall’ingegneria aeronautica, rendendo realizzabili geometrie fino ad allora impensabili.

Il punto di svolta nella sua carriera rimane però la casa di Santa Monica, completata nel 1978. Un comune bungalow trasformato in un manifesto di sperimentazione, avvolto da materiali poveri e da forme fratturate che riflettevano le tensioni sociali del tempo. Quell’opera lo consacrò come una forza creativa fuori dagli schemi. “Non è bellezza né bruttezza”, disse Philip Johnson, “ma una soddisfazione inquietante che non si trova altrove”.


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