Neet in calo, problema lavoro per i giovani ancora aperto
Attuali e persistenti le dinamiche emerse dal Rapporto Cnel su Demografia e forza lavoro
In Italia i Neet diminuiscono, ma la vita dei giovani resta fragile, il problema lavoro resta aperto.
Neet in calo
I numeri del Rapporto Cnel “Demografia e forza lavoro”, pubblicato ormai undici mesi fa tornano centrali oggi, considerato che i territori provano a ripensare le loro politiche per contrastare l’inattività giovanile. In Lombardia, nuovi percorsi formativi per interessare i giovani che non studiano e non lavorano. Con la discussione in atto, il Rapporto, a quasi un anno di distanza, aiuta a leggere la posta in gioco.
In vent’anni l’Italia ha perso oltre due milioni di lavoratori under 35. Nel 2004 erano 7,6 milioni. Nel 2024 si sono fermati a 5,4 milioni. L’invecchiamento della forza lavoro è evidente. Gli over 50 superano il 40% degli occupati, come confermano gli aggiornamenti Cnel del 2025. La demografia pesa e ridisegna il mercato del lavoro. Perciò i giovani diventano un bene sempre più raro e indispensabile.
Lo scenario è ancora più critico se si osservano i Neet. I dati Cnel mostrano un calo della percentuale, ma la riduzione non nasconde le difficoltà reali. Molti giovani sono usciti dall’inattività grazie a lavori brevi, instabili o mal pagati. Il confine tra inclusione e precarietà è sottile. Le differenze per titolo di studio restano enormi. Nel 2023 il 41,9% dei ragazzi con solo la licenza media era Neet. La quota scende al 27,4% tra i diplomati e al 18,2% tra i laureati. Il divario territoriale è netto. Il Sud continua a registrare incidenze più alte del Nord.
Le storie dentro i numeri
Dentro questi numeri, si muovono storie che ritornano in molte analisi sul lavoro giovanile. I rapporti del Cnel e le rilevazioni dei centri per l’impiego descrivono profili ricorrenti, utili per capire cosa significhi oggi essere un giovane fuori dai radar o ai margini del mercato del lavoro.
Un esempio tipico è quello di un ragazzo di poco più di vent’anni che alterna contratti brevi e part-time senza riuscire a costruire un percorso stabile. È il modello del giovane che non rientra più nella categoria dei Neet, ma vive una precarietà continua. La sua frase ricorrente, riportata in molti colloqui di orientamento, è semplice: “Vorrei potermi organizzare la vita”.
Un altro profilo frequente riguarda le ragazze che provano a riqualificarsi, spesso lasciando lavori a termine perché non compatibili con i corsi di formazione. È un passaggio che non appare nelle statistiche dei Neet, ma racconta la fatica di crescere professionalmente mentre si attraversano periodi senza reddito e senza tutele.
Molti giovani non si dichiarano Neet perché fanno lavoretti irregolari. Altri passano da un tirocinio all’altro. O restano a casa in attesa di opportunità poco chiare.
Le policy sui territori
Le politiche locali stanno provando a rispondere a questo disorientamento. La Lombardia punta su percorsi brevi e mirati, costruiti insieme alle imprese. Il Veneto lavora su orientamento personalizzato e tutoraggio. In Emilia-Romagna si sperimentano sportelli territoriali dedicati agli inattivi.
La spinta non arriva solo dai territori. Anche il Bollettino Cnel del marzo scorso registra segnali chiari: nel 2024 gli occupati sono saliti a 23,93 milioni, con un aumento di 352 mila unità rispetto al 2023. La crescita però non riguarda allo stesso modo tutte le fasce. I giovani entrano con più difficoltà e con contratti deboli.
Gli esperti parlano apertamente di “fragilità strutturale”. Se i giovani lavorano poco, male o per periodi brevissimi, il sistema non regge più. Secondo il Cnel, senza un aumento del tasso di occupazione giovanile, l’Italia rischia di perdere 2,5 milioni di occupati nei prossimi dieci anni. Le conseguenze sarebbero pesanti per l’intero sistema produttivo.
La formazione al lavoro da rinnovare
Dietro le percentuali, anche un tema emotivo. Molti ragazzi non si sentono all’altezza. O pensano di non avere alternative. Lamentano di non essere pigri ma di subire un supporto che frequentemente non spiega cosa imparare per lavorare davvero. La distanza tra scuola e impresa alimenta confusione. Il Rapporto lo sottolinea: il mismatch resta alto e serve una collaborazione più stretta.
Oggi il dibattito torna centrale perché i territori vogliono frenare la dispersione. Il rischio è evidente. Meno giovani e sempre più scoraggiati possono diventare un freno economico. La crescita degli occupati over 50 è un segnale positivo, ma segnala anche un Paese che fatica a rinnovarsi.
L’attenzione sui Neet serve a dire a chiare lettere che non si può costruire sviluppo senza una generazione che crede nel futuro. I numeri migliorano, ma non basta. Serve una strategia stabile. Servono percorsi di formazione chiari. E serve, soprattutto, far capire ai giovani che non sono soli dentro questo cambiamento.
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