Esteri

Non salvate il soldato King. Le ultime rivelazioni spiegano ritardi e silenzi

di Ernesto Ferrante -


La storia di Travis King deve essere riscritta. Quello che era stato fatto passare per un soldato “disertore” alle prese con procedimenti disciplinari, sarebbe in realtà un uomo stanco del razzismo latente nell’esercito Usa, che ha scelto consapevolmente di ribellarsi a certe logiche entrando illegalmente nel territorio della Repubblica popolare democratica di Corea, nell’area di sicurezza congiunta di Panmunjom.
Con l’opinione pubblica statunitense già sotto shock per la storia di due cittadini afroamericani torturati per diverse ore da parte di sei agenti bianchi in Mississippi, rivelata solo adesso dopo sette mesi di “occultamento” giudiziario e mediatico da parte delle autorità, gli aggiornamenti che arrivano dalla Corea del Nord possono avere un effetto dirompente.
Secondo la Korean Central News Agency, il militare fermato dalle guardie di frontiera ha raccontato di “albergare risentimento contro il trattamento disumano e la discriminazione razziale subita nell’esercito degli Stati Uniti”. La sua intenzione sarebbe quella di chiedere asilo in Corea del Nord o in un Paese terzo, disilluso com’è dalla “disuguaglianza della società americana”.
“Il soldato americano, Travis King, ha disertato ed è scappato in Corea del Nord per sfuggire ai maltrattamenti e alle discriminazioni razziali dell’esercito” a stelle e strisce. Lo hanno riportato i media statali, confermando ufficialmente che Travis King è detenuto a Pyongyang dal 18 luglio.
Gli Stati Uniti avevano precedentemente affermato che ha attraversato il confine presso l’Area di sicurezza congiunta nella zona demilitarizzata che separa il Nord e il Sud “volontariamente e senza autorizzazione”.
Il Comando delle Nazioni Unite, che sovrintende al rispetto dell’armistizio che ha posto fine ai combattimenti nella guerra tra le due Coree, formalmente mai finita, ha reso noto il mese scorso di aver iniziato una conversazione in merito con il Nord.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken era stato “sibillino”, precisando che mentre erano stati presi contatti con i nordcoreani, Washington non aveva ancora idea di dove fosse King o in quali condizioni.
Poco prima di rilasciare i loro commenti su King, l’agenzia ufficiale norcoreana ha descritto l’America come “l’impero antipopolare dei mali, totalmente depravato a causa di ogni sorta di mali sociali”.
“Non contenti di essere conniventi e promuovere la discriminazione razziale, i crimini legati alle armi, il maltrattamento dei minori e il lavoro forzato dilagante nella loro società, gli Stati Uniti hanno imposto standard di diritti umani non etici ad altri paesi e fomentato disordini interni e confusione”, si legge nella dichiarazione.
Vladimir Tikhonov, professore di studi coreani all’Università di Oslo, ha detto all’AFP che poiché King “è nero, immagino che possieda un certo valore propagandistico per i nordcoreani”.
“Il razzismo bianco e il maltrattamento dei neri è un punto che la propaganda nordcoreana tradizionalmente enfatizza, tutto il tempo dalla guerra di Corea, quindi King può essere usato per amplificare questo messaggio”, ha aggiunto ancora.
La fuga di King che attraversa il confine mentre le relazioni tra le due Coree sono in uno dei loro punti più bassi di sempre, con la diplomazia in stallo e il leader nordcoreano Kim Jong Un sempre più convinto di sviluppare e testare nuove armi, comprese le testate nucleari tattiche, e il vertice trilaterale tra Seoul, Tokyo e Washington previsto per venerdì in Maryland, durante il quale i leader dovrebbero annunciare piani per espandere la cooperazione militare, assume una connotazione totalmente diversa rispetto a quella iniziale. Non è escluso che possa essere utilizzata come pedina negoziale.

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