Economia

Patto di instabilità, flop Ecofin

di Cristiana Flaminio -

Giancarlo GIORGETTI (Minister for Economic Affairs and Finance, Italy), Christian LINDNER (Federal Minister for Finance, Germany)


E poi si lamentano se i sovranisti, a primavera, faranno il botto alle urne. La Disunione europea colpisce ancora. L’unica cosa che unisce i 27 Paesi membri è l’egoismo. Non solo degli Stati ma persino dei partiti al governo. Il Patto di Stabilità e crescita è andato a farsi benedire: l’Ecofin, dopo una riunione fiume durata una cena (informale) e ben due notti di intensi negoziati, ha partorito l’ennesimo topolino. Ci siamo a metà. Una disperata negazione della realtà. Il nuovo Patto di Stabilità è in stallo, sospeso tra le necessità di ogni Paese, strattonato dalle esigenze elettorali di ogni ministro. E mentre è stata fissata un’ultima, disperata, riunione (che dovrà tenersi tra il 18 e il 21 dicembre) incombe su tutti lo spettro del vecchio Patto. Una gabbia d’acciaio, di vincoli e di rigore.

Il racconto dei fatti è banale. La Francia ha tentato di ricavarsi un ruolo di mediazione con la Germania, a rappresentare i Paesi più indebitati, e s’è scontrata con le ambizioni elettorali del Partito liberale tedesco, cui appartiene il ministro tedesco Christian Lindner, che non si può permettere di concedere requie ai “mediterranei” (cioè agli italiani…) indebitati cronici e lazzaroni. Parigi, però, non è stata spinta da un moto di generosità. Piuttosto dal fatto che anche le casse francesi languono e il peso del debito inizia a far paura anche al di là delle Alpi. Ma i tedeschi sono stati inflessibili e grazie al solito asse coi quaccheri olandesi e gli austriaci che c’hanno ancora il dente avvelenato dai tempi di Cecco Beppe, le trattative per il nuovo Patto di stabilità sono fallite. Adesso ogni analisi, ogni lettura, diventa un tiro al nemico. I rigoristi tedeschi potranno rinfacciare agli italiani la mancata adesione al Mes, per esempio. E gli italiani potranno irrigidirsi, ancora di più, con Berlino e Bruxelles, rifiutando di ratificare il meccanismo salvabanche. Che, per prime, potrebbe e dovrebbe tutelare le loro messe a dura prova dal recentissimo crac Signa, “ufficializzato” proprio ieri dalle autorità austriache, e strattonate dalla crisi di Credit Suisse prima e di Deutsche Bank poi. L’unica concessione graziosamente elargita da herr Lindner è stata quella di offrire elasticità solo sugli interessi maturati dai debiti pubblici dei Paesi, come l’Italia, che superano le soglie di attenzione fissate dal Patto. Ha parlato di accordo chiuso al 92 per cento, Lindner. Facendo il verso, evidentemente, alla percentuale del 90% evocata, pochi giorni fa, dall’omologo francese Bruno Le Maire e che, nelle ore immediatamente successive all’ultima riunione flop dell’Ecofin sul Patto ha ridotto al 5% le possibilità di chiudere l’accordo entro la fine dell’anno. Quella sul tavolo appare una proposta a tal punto inaccettabile che persino Giancarlo Giorgetti, che tutto è fuorché un avversario dell’euro-estabilishment, ha alzato la voce: “Meglio le vecchie regole che un cattivo accordo”.

Perché quel cattivo accordo, evidentemente, non è sembrata che una riedizione nemmeno troppo riveduta e corretta del vecchio Patto. Che, per inciso, ha rappresentato la ragione primaria dell’euroscetticismo e delle spinte di fuga concretizzatesi tanto nella Brexit quanto nel successo dei partiti sovranisti in ogni angolo del Vecchio Continente. Un capolavoro: la tattica di un piccolo partito tedesco che sovrasta la strategia di un’istituzione che ambisce a rappresentare l’intera Europa. Se non è guerra aperta poco ci manca se finanche Antonio Tajani, già presidente dell’Europarlamento e acerrimo rivale dei sovranisti al punto da mettere in discussione i rapporti con la Lega per colpa dei suoi alleati Ue, ha tuonato che il patto “non può fare solo gli interessi della Germania” che, a sua volta, sembra tenere un po’ troppo al Mes ma intanto non procede “con unione bancaria e armonizzazione fiscale” pur chieste a gran voce dalla Bce.

Stando così le cose, fa tenerezza il tentativo dei membri della Commissione Ue di tenere vive le fiamme della speranza. Persino un politico navigatissimo nei meandri Ue come il vicepresidente Valdis Dombrovskis, dopo aver data per imminente la stretta di mano, continua a credere che entro fine anno l’accordo sul Patto si farà. Si deve almeno salvare la faccia. Perché la questione è di quelle dirimenti: è mai possibile che la discussione su uno dei capisaldi del futuro dell’intera Ue, cioè il nuovo Patto di stabilità, nelle più prestigiose sedi comunitarie, cioè l’Ecofin, dipenda dalle ambizioni elettorali di un partitino tedesco che alle ultime elezioni europee non è riuscito nemmeno nell’impresa di raggiungere il 6% dei consensi?


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