Pfas, è bufera sulla Pedemontana:12 indagati
C’è un filo chimico che lega i cantieri della Pedemontana al fantasma della Miteni di Trissino. Si chiama Pfba, una delle molecole del grande scandalo Pfas, che ha azzoppato un pezzo di Veneto, tra Verona Vicenza e Padova, e contaminato centinaia di migliaia di persone.
La legge violata e gli indagati
Per la Procura di Vicenza si è violata la legge sull’uso di materiali inquinanti durante la costruzione della Superstrada Pedemontana Veneta (SPV) tra il 2021 e il 2024. Nel registro degli indagati compaiono amministratori e tecnici del Consorzio Sis e della società Spv. Tra loro, tre figure di primo piano del gruppo Dogliani: Domenico, amministratore delegato di Spv; Matterino, presidente del cda di Sis e vice di Spv; e Claudio, ad e direttore generale di Sis. Insieme a loro, Roberto Mascarello e i tecnici spagnoli Miguel Angel Rufo Acemel, Fernando Joaquin Pardo Garcia e Pedro Antonio Seguenza Hernandez, oltre a Luigi Cordaro, Saverio Vita, Giovanni Salvatore D’Agostino, Roberto Russo e Stefano Reniero.
La formulazione delle accuse
Le accuse formulate dal Pm Cristina Carunchio sono pesanti: inquinamento ambientale e omessa bonifica. Per gli inquirenti i vertici delle due società avrebbero utilizzato un additivo accelerante, il Mapequick AF1000, contenente acido perfluorobutanoico (Pfba), appartenente alla famiglia dei Pfas, in concentrazioni superiori ai limiti fissati dall’Istituto Superiore di Sanità. La sostanza, impiegata nel calcestruzzo proiettato per le gallerie di Malo e Sant’Urbano, avrebbe contaminato le acque superficiali e sotterranee. Nonostante la consapevolezza del rischio, gli indagati, sostiene la Procura, non avrebbero adottato misure di bonifica. A complicare il quadro, la presunta dispersione di milioni di metri cubi di terre da scavo contaminate, successivamente smaltite in cave e discariche del Veneto.
La difesa
Per le difese “le schede tecniche sono chiare, niente Pfas”. Per l’avvocato Pierluigi Ciaramella le tracce rilevate da Arpav e carabinieri possono provenire da contaminazioni pregresse: “Quelle sostanze erano già nel sottosuolo. Non dimentichiamo che a poca distanza sorgeva la Miteni di Trissino, responsabile di uno dei più gravi disastri ambientali del Nordest.” A sostegno della Procura il documento firmato dallo stesso Stefano Reniero, responsabile ambientale della Pedemontana. Nel 2021 riconosceva la presenza di Pfba nel materiale del cantiere, con concentrazioni di 263 mila nanogrammi litro. La Regione è costituita parte lesa, ma la politica attacca Palazzo Balbi. Vanessa Camani, capogruppo Pd, accusa: “Nonostante i nostri allarmi, la giunta Zaia non ha imposto controlli adeguati né approfondito la caratterizzazione dei materiali. Quando i primi dati sono emersi, non è intervenuta.” Durissimo anche Massimo Follesa del coordinamento ecologista Covepa, che parla di “nuova Miteni”: “È una contaminazione pari a quella di Trissino. Se lo Stato non vieta i Pfas, almeno controlli i cantieri.” La Regione replica che già nel 2021, “a seguito di ispezioni”, aveva imposto la sostituzione del prodotto incriminato con un altro accelerante, il MasterRoc SA 166. La notizia delle indagini ha scosso i territori di Malo, Castelgomberto e Montecchio Maggiore, dove sorgono le gallerie incriminate. I sindaci vicentini Moreno Marsetti, Davide Dorantani e Silvio Parise annunciano la volontà di costituirsi parte civile: “I fatti sono gravi. I dati di Viacqua ci dicono che l’acqua dei rubinetti è sicura, ma non conosciamo lo stato dei pozzi non mappati”. Sul tavolo resta una domanda cruciale: se davvero l’additivo non conteneva Pfas, da dove proviene la contaminazione? Un mistero che, a differenza del cemento, non sembra destinato a solidificarsi in fretta.
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