La Coscienza di Zero

La politica del non essere – parte 1: Tesi

di Gioacchino Marino -


La politica del non essere non è una considerazione ontologica sui massimi sistemi, ma la scoperta dell’acqua calda.

Ora va detto che ciò che è ovvio non automaticamente è positivo, anzi spesso diventa una forte negatività soprattutto se si aggrega all’idea che non sia mutabile. Il dibattito politico attuale verte sempre più alla negazione delle idee degli altri, genericamente inglobate in un contenitore ampio chiamato destra o sinistra, piuttosto che sulla affermazione delle proprie. Più che dire cosa sono, preferisco affermare cosa non sono, radicalizzando gli estremi, ma questo lo vediamo tra poco. La naturale conseguenza di tale atteggiamento è la consacrazione della logica del male minore.

Intendiamoci, questa logica non è affatto nuova, in un’altra era geologica Indro Montanelli esortava gli elettori a turarsi il naso e votare Dc, sdoganando il concetto del meno peggio. Ma in quegli anni, i due principali partiti politici avevano una forte identità e due poli gravitazionali che facevano capo a un fondante insieme di valori. Cristianesimo e laicità, capitalismo e comunismo, blocco orientale e blocco occidentale. E soprattutto l’esortazione di Montanelli era rivolta agli elettori, non era a presupposto degli schieramenti politici.

La disgregazione della prima repubblica, del comunismo, della capillare presenza della chiesa nella vita quotidiana, ha lasciato un vuoto mai colmato con valori di ricambio. Soprattutto con il passaggio a una dialettica destra e sinistra, entrambe volutamente rapportate, dagli antagonisti, a modelli di riferimento decaduti e fortemente connotati di negatività. Ora il fascismo è morto fortunatamente dalla metà del secolo scorso. Ma anche il comunismo ormai, diciamo fortunatamente per par condicio, è collassato su se stesso da trent’anni. Eppure tali definizioni hanno trovato una nuova linfa esistenziale, immotivata storicamente ma supportata appunto dalla esigenza di orbitare attorno alla negazione dei valori dell’altro, piuttosto che alla genesi di un nuovo astro illuminante.

Non si parla di conservatori e progressisti, non si edifica un concetto millennial di destra e sinistra, ma si accusa l’avversario di essere radicato a quei valori antichi e sconfitti dalla storia. Questa radicalizzazione, unitamente all’alternanza di governi che maldestramente si sono succeduti in questi anni, polarizza il dibattito eliminando una dialettica costruttiva. Se un esponente politico dello schieramento A contesta le decisioni o le idee di un esponente dello schieramento B, dopo una iniziale schermaglia assai poco attenta a una disamina costruttiva, ma troppo autoreferenziale, termina con l’inevitabile affermazione, “voi non potete parlare che avete fatto peggio di noi quando avete governato”. E oltre non si va, la ragione la si ricerca nella debolezza dell’interlocutore, o nei suoi fallimenti precedenti, non nella forza delle proprie argomentazioni, consacrando sull’altare della ragione appunto la logica del male minore di cui si diceva.

A noi spettatori del dibattito, drogati ormai da un eccesso tossico di idiozie, non resta altro che perlustrare il frigorifero di casa in cerca di qualche rimedio zuccherino per contrastare un’amarezza rassegnata. Ecco che quindi da una scelta consapevole del male minore da svolgersi in cabina elettorale, e già questo è miserevole peraltro, si arriva alla definizione inossidabile che si governa non tanto per i propri meriti, ma per i demeriti dell’avversario, noi non siamo il meglio per questo Stato, ma il meno peggio, siamo abbarbicati agli scranni governativi perché rappresentiamo il male minore, quindi va bene così e ci vediamo tra cinque anni.

Un esempio su tutti, dinanzi all’aumento incontrollabile dell’immigrazione, proprio nel primo anno di governo della destra che dell’antimmigrazione costruiva il suo cavallo di troia su cui cavalcare per raccogliere consensi, i commentatori ufficiali filogovernativi hanno in pratica rinunciato ad analizzare le ragioni reali di tale inatteso e karmatico dato numerico, limitandosi ad osservare che se al governo ci fosse stata la sinistra sarebbe stato ancora peggio.

Essere di destra vuol dire prima di tutto non essere comunisti, e viceversa. La Sinistra, nell’ultima campagna elettorale si è limitata per lo più a paventare il Fascismo prossimo venturo senza dare una benché piccola proposta per governare il Paese. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ora la Destra, alle prese con la realtà, amplifica l’accanimento critico contro l’opposizione, già abbastanza derelitta di suo, perché non conta ciò che siamo, ma chi non siamo. Lo dicevamo questa è acqua calda. Lo sappiamo tutti, lo affermiamo con chiarezza e senza ambiguità, il risultato è che anno dopo anno, quinquennio dopo quinquennio o giù di lì, L’Italia continua a navigare verso una deriva di malessere e depressione economica e istituzionale, senza che mai davvero si provi a trovare correttivi reali, che appaiono luminosi e nitidi quando si è seduti sui banchi dell’opposizione, molto meno reali quando l’elettorato ti conferisce il ruolo di male minore e dovresti poi metterli in pratica. 

La verità è che in Italia ci siamo talmente abituati all’acqua calda, che seppur disgustosa, la beviamo quotidianamente senza avere più neanche la memoria che possa esistere un’acqua sorgiva fresca e zampillante con cui dissetarsi. E la ribellione dei cittadini colpevolmente, si limita alla paralisi cognitiva, a una apatia che sfiora il crimine, a una acquiescenza al malessere senza evoluzione, che trova sfogo solo nel dilagare dell’astensionismo e del disimpegno sempre più marcati, che sono la costante e bipartisan temperatura elettorale delle ultime consultazioni politiche. Ma quando cazzo la smetteremo di accontentarci di questa acqua melmosa e ci riapproprieremo dei nostri diritti pretendendo da chi si candida al Parlamento, una maggiore consistenza e una maggiore capacità.

GIOACCHINO MARINO


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