Editoriale

Poveri onorevoli

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Non soltanto Elly Schlein si ritrova a guidare un partito fatto da gente che dopo 40 anni di stipendi istituzionali a ogni livello si lamenta del salario massimo che prende. Ma con questa legge elettorale è proprio il capo di un partito che decide chi sarà dentro gli eletti e chi no. E sarebbe ora che quelli come Piero Fassino tornassero a prendersi i voti uno per uno prima di spiegare a un Paese divorato da tasse, tassi, inflazione, costi di una guerra assurda, postumi di una pandemia trattata come la fine del mondo, quanto lui debba percepire per quello che sta dando al Paese dal Parlamento.

Una sinistra così finirà per farsi opposizione da sola, almeno così potrà fare le prove di quella opposizione che la Costituzione invece invocherebbe per i partiti di governo. Una specie di palestra fatta in casa, costruita sull’idea di un partito che non vuole il suo leader e che a parole da 10 anni evidentemente predica morale dappertutto tranne che in casa propria. E’ davvero in dissintonia con il momento e con il Paese quello che è riuscito a dire il più volte parlamentare e sindaco e segretario del Pd, scatenando un putiferio che non è affatto casuale. E’ dalla scorsa legislatura che in Parlamento si è costituita una maggioranza alternativa che vuole ripristinare il vecchio vitalizio e tutte le prebende che con fatica non sono mai state eliminate del tutto, perché il trattamento dei parlamentari italiani, e lo dico per esperienza, è assolutamente di primo livello in Europa, e farlo senza che il Paese si possa lamentare. Di questa maggioranza fanno parte pezzetti di tutti i partiti.

C’è il Pd, e l’abbiamo sentito non per la prima volta mettersi in prima fila e piangere miseria, ma ci sono pezzi di Forza Italia, pezzetti della Lega, qualcuno anche di Fratelli d’Italia, molto meno bisogna dirlo, e perfino nei 5 Stelle. E’ di pochi giorni fa la polemica tra il leader Giuseppe Conte e l’ex ministro Stefano Patuanelli, che si era permesso di buttare lì, come fosse una sciocchezza, il ripristino del finanziamento pubblico ai partiti, quel principio democratico e costituzionale che in una Repubblica dove sono i cittadini a eleggere i singoli parlamentari, dopo una campagna elettorale vera, garantendo loro una rappresentanza territoriale, potrebbe anche essere messo in discussione sebbene con cifre ben diverse da quelle che portarono all’indimenticabile caso Lusi e alle decine di milioni di euro spariti dalle casse dei partiti non si sa bene per fare cosa.

Ma in un Paese dove il cittadino non sceglie niente, dove le elezioni si fanno solo in televisione, dove i voti vanno al simbolo e quindi al leader, dove non serve affatto avere milioni di euro per fare una campagna elettorale, è davvero fuori dal mondo pensare più a ripristinare antiche edizioni senza presentare in Parlamento una riforma trasversale che faccia quello che tutti gli italiani sperano. In un modo o nell’altro, con l’elezione diretta o semidiretta, con un proporzionale puro, con un proporzionale sporcato da un piccolo maggioritario, come cavolo volete, ritardare ai cittadini la possibilità di esprimere il nome e il cognome di chi vogliono seduto in Parlamento. E scommettiamo che di quelli che adesso cantano in prima fila che vogliono anche prendere un’indennità più alta perché poverini di 4500 euro a metà del mese e di altri quattro cinque a fine mese non sanno che farsene, alle elezioni davvero democratiche dove sceglie la gente non resterà alcuna traccia.

E allora rimettiamo in ordine i fattori. E diciamo che se davvero si vuole ridiscutere l’indennità dei parlamentari e i vitalizi, bisogna riportare la rappresentanza in mano ai cittadini, bisogna riportare il Parlamento in una posizione in cui ciò per cui viene pagato si vede. Per fare questo bisogna che anziché stare tutto il giorno su Twitter e sui giornali a predicare, tutti i partiti di opposizione e di maggioranza aprano un vero dibattito sulle riforme istituzionali proposte dal governo di Giorgia Meloni e dalla sua maggioranza. E in quella sede scrivano una legge che dimostri che rimettono in mano ai cittadini il proprio mandato, senza trucchi, senza listini, senza ricatti del Capo, fuori da questo schema simile a quello di una setta in cui il Parlamento è formato da gente che deve dire di sì. Questa è la condizione minima anche solo per poter discutere di quanto vale poi il cervello e l’azione di un rappresentante della nazione e non di un cameriere del leader di turno. Che dovrebbe, come molti costretti a lavorare l’estate per mantenersi, prendere il salario minimo. E non piangere il morto.


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