Economia

Povero Sud

di Giovanni Vasso -

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L’Italia sta uscendo di slancio dal Covid. A dirla tutta, mezza Italia è fuori dalla pandemia, l’altra metà sta faticando molto, se non troppo, a tentare di uscirsene. Mentre il Centro e il Nord Italia correvano, nel 2021, per tirarsi fuori dalle secche pandemiche, il Mezzogiorno ha continuato a incespicare. I dati dell’Istat, pubblicati nel rapporto Noi Italia, sono chiari. I numeri parlano chiaro. A Sud, il 10 per cento dei residenti vive in stato di “grave deprivazione sociale e materiale”. Nel Nord-Est, la stessa quota si assottiglia fino all’1,9%. La povertà relativa è salita all’11,1% in tutta Italia, coinvolgendo 2,9 milioni di persone. Di queste, il 20,8% vive nel Mezzogiorno. Con punte che arrivano fino al 27,5 per cento in Puglia, raggiungono il 22,8 per cento in Campania e infine si stabilizzano a quota 20,3 per cento in Calabria. Dove c’è povertà vige anche sproporzione nella distribuzione del reddito. E difatti, secondo gli analisti dell’Istat, è in Campania e in Calabria dove si registrano le maggiori concentrazione del reddito. L’Italia, se l’analisi si estende al territorio nazionale, è sotto le medie Ue sul parametro dell’uniformità del reddito. Infine l’ultimo, agghiacciante, dato: nel 2021, il Pil prodotto al Sud, rispetto a quello del resto del Paese, è risultato inferiore del 44,7%.
Il capitombolo dell’economia meridionale si iscrive in un quadro che, altrimenti, sarebbe più che lieto per le cose di casa nostra. Nel 2021, infatti, il Pil è cresciuto del 7,3%. Il prodotto interno lordo italiano, così, ha raggiunto i livelli che si erano già registrati nel 2017. Un’ottima base di ripartenza dopo la stagione dei lockdown, delle Regioni “semaforo” con le zone bianche, verdi, gialle, arancioni e rosse, delle carte verdi e dei greenpass anche per andare al lavoro. Nel 2021, inoltre, aveva sostanzialmente retto la domanda interna e i consumi, pur scesi al 77,6 per cento si erano stabilizzati su una quota largamente superiore alle medie Ue. Che, invece, non superano il 73%. I numeri di due anni fa, poi, hanno dovuto fare i conti con quello che è accaduto nel 2022. I guai, infatti, non vengono mai da soli. E dopo la pandemia, ci è toccata anche la guerra. Che in Italia ha picchiato particolarmente duro. Già, perché la crisi energetica ha esposto il Paese, come e forse più di gran parte dell’Europa, a una pressione inflazionistica di cui ancora non si vede la fine. Solo nel 2022, come riporta l’Istat nel suo report, i prezzi sono cresciuti dell’8,1%. Per trovare un precedente peggiore, occorre tornare indietro fino a trentotto anni fa. Quando, nel 1985, i costi medi salirono del 9,2%.


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