Politica

PRIMA PAGINA – Ecco Melagnez: così Giorgia alza lo scontro Schlein-Conte

di Domenico Pecile -


Settanta minuti di intervento, a tutto campo, contro tutti: l’arringa di Giorgia Meloni nel discorso che ha chiuso la kermesse di Atreju può essere riassunta nelle due parole che hanno incendiato la platea: “Non mollo”. Determinata, sicura, quasi baldanzosa, ha aperto la maratona-europee che la vede con il vento in poppa e con i consensi in ulteriore aumento.
Ha rischiato un azzardo ideologico sul tema sia della maternità surrogata sia dei poteri economici forti che oscurano la politica, invitando il magnate Elon Musk. Ha sparato alzo zero sulla Ferragni affermando che “il vero modello non sono gli influencer che fanno soldi a palate promuovendo carissimi panettoni coi quali si fa credere che si farà beneficienza”. Ha sminuito Roberto Saviano, che non racconta le storie delle forze dell’ordine, ma quelle più redditizie dei camorristi.

Ha parlato al suo popolo, mettendolo in guardia contro gli attacchi che arriveranno dalle opposizioni. In ogni caso, il suo esordio ufficiale della campagna per le europee del prossimo anno ha oscurato quello del raduno fiorentino di Matteo Salvini che aveva pensato di alzare la posta in chiave anti-Meloni chiamando a raccolta le destra estrema per forzare il dibattito in vista delle future alleanze di Bruxelles. Ma è stato anche, quello di Meloni, un esordio che prefigura il lungo scontro che ci sarà da qui alle europee tra lei e la segretaria del Pd, Elly Schlein. La quale ha tentato la contromossa del raduno di sabato scorso con il Forum “L’Europa che vogliamo”, facendosi benedire – pensando a una versione riaggiornata dell’Ulivo – da Romano Prodi ed Enrico Letta. Schlein è stata durissima nei confronti dell’avversaria parlando di un “patetico show, fa festa e lascia 900 mila famiglie in povertà”. Da parte sua, Meloni ha commentato in questo modo il rifiuto dell’invito a partecipare rivolto alla segretaria dem: “Cara Elly, puoi anche decidere di non partecipare, ma non c’è bisogno di insultare tutti coloro che hanno deciso di accettare il nostro inviato”.


Scaramucce, scintille. Destinate a incendiarsi progressivamente nelle prossime settimane. Anche perché nel mirino di Meloni, forse più di Schlein c’è Giuseppe Conte, padre di quel superbonus che è costato all’Italia – ha rimarcato con forza – un buco di 130 miliardi. Il perché Meloni tema più Conte che Schlein è presto spiegato. Il premier teme infatti che in caso di voti liquidi in fuga dal suo partito, la destinazione dei transfughi non sarebbe tanto il Partito democratico quanto il M5S. Non solo, ma Meloni è stata acerrima nemica del Conte 2 (“Conte ha fatto più danni all’Italia di Attila”), mentre per adesso Schlein impersona soltanto un avversario ideologico. Anche a Schlein rinfaccia la doppia morale dei dem capaci di solidarizzare con Ferragni, ma rimasti imbarazzati e tenui nelle critiche a Soumahoro, che rappresenta per le forze di governo la contraddizione vivente di una sinistra buonista e garantista anche di fronte all’evidenza degli abusi e delle distorsioni nella gestione degli immigrati da parte di alcune cooperative.
Un braccio di ferro tra centro destra e opposizioni che Meloni sa che dovrà affrontare in gran parte da sola soprattutto dal punto di vista strategico.

Le fughe in avanti di Salvini sia sulle alleanze, sia su Mes e Patto di Stabilità, i distinguo del vice premier di FI, Antonio Tajani, sul superbonus la costringeranno a forzare determinate decisioni anche a costo dell’impopolarità L’invito a esserci ad Atreju rivolto al premier albanese, Edi Rama, e a quello inglese Rishi Sunak dimostra che una volta pulite le stimmate di essere anti-europeista, il premier allarga le interlocuzioni a tutto campo, anche fuori dall’Ue, come del resto era già accaduto nel caso del Piano Mattei con l’Algeria. Una Meloni insomma decisa a spianare la strada a Fratelli d’Italia non guardando in faccia a nessuno, nemmeno nel centrodestra.


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