Rapina al Louvre: finestre senza allarme le crepe della Francia
Com’è possibile che nel museo più famoso del mondo, nel cuore della capitale, Parigi, che si vanta di essere faro di civiltà e custode dell’arte universale, esistano finestre non allarmate? È la domanda che scuote la Francia dopo la clamorosa rapina al Louvre dei gioielli dei Napoleone.
La dinamica del furto
Non un colpo qualunque, ma un’umiliazione simbolica: quattro banditi travestiti da operai, in pieno giorno, di domenica, hanno forzato una portafinestra, tagliato con una smerigliatrice il vetro delle teche, mianacciato le guardie e sottratto i gioielli della Corona di Francia. Sette minuti di azione, sufficienti a mettere in ridicolo il sistema di sicurezza di uno Stato che da anni predica rigore, efficienza e modernità ai vicini europei. Secondo il critico d’arte Didier Rykner, l’allarme della finestra da cui sono entrati i ladri era disattivato. Un dettaglio che diventa un simbolo: la finestra del Louvre, quella da cui il mito della monarchia francese è stato violato, era la stessa che lo Stato aveva dimenticato di proteggere.
L’incuria e l’ammissione della ministra della cultura
Non un guasto tecnico, ma un segno di sciatteria, di incuria istituzionale. “La responsabilità sono i quarant’anni di abbandono sulla questione della sicurezza”, riconosce la ministra della Cultura, Rachida Dati, annunciando un’inchiesta amministrativa. Parole pesanti, che suonano come un atto d’accusa non solo verso i predecessori, ma verso un intero modello amministrativo lento e burocratico. La Corte dei conti francese aveva già segnalato le criticità: un terzo delle sale del Louvre non dispone di videosorveglianza. Dal 2022 erano state avanzate tre richieste di valutazione dei sistemi di sicurezza, senza concludere nulla. Si parlava di piani di ammodernamento, di gare pubbliche, di tempi tecnici. Intanto, tra i vetri dorati della Galleria di Apollo, dove Luigi XIV volle incarnare la divinità del Sole, il tempo si è fermato. E quando i banditi hanno agito, la “grandeur” si è sciolta come cera sotto il fuoco della realtà.
La falla nel sistema francese
La Francia che ha sempre guardato con superiorità agli altri, quella che bacchetta l’Italia sui bilanci, sui musei, sulla tutela del patrimonio, si ritrova ora a spiegare come sia stato possibile che quattro uomini in gilet gialli, con un camion parcheggiato contromano lungo la Senna, abbiano potuto entrare e uscire dal suo santuario culturale senza incontrare resistenza. Un colpo che evoca il cinema, ma che nel reale rivela la debolezza di un Paese che non si riconosce più nella propria immagine. Non basta annunciare un’inchiesta o promettere di “rimettere a norma” i dispositivi, come ha fatto la ministra. La sicurezza del Louvre non è solo una questione tecnica, ma morale: riguarda la responsabilità di chi custodisce l’eredità di un popolo. Se la Francia non riesce a difendere i suoi simboli, che cosa resta dell’idea stessa di Stato-cultura, di nazione come casa del sapere? I ladri hanno lasciato sul selciato la corona dell’imperatrice Eugenia, danneggiata ma non distrutta. Un gesto involontario che diventa parabola: anche quando si perde la corona, resta la vergogna di non averla saputa proteggere. Dietro l’oro e gli smeraldi della Galleria di Apollo, c’è il riflesso di un’Europa che si specchia nella negligenza. Un continente che parla di identità e di patrimonio, ma dimentica di proteggere la finestra.
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