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Politica

Rebus Veneto Stefani in pole, ma FdI scalpita

di Ivano Tolettini -


Alberto Stefani, deputato, vice segretario federale della Lega e fedelissimo di Matteo Salvini, ha il 70% di diventare il candidato del centrodestra in Veneto. È lui il nome che circola da mesi, ripetuto come un mantra in via Bellerio, accarezzato da Salvini come simbolo della continuità di un partito che in questa regione ha costruito la sua roccaforte politica. Ma se fosse tutto così scontato, perché non si è scelto subito dopo l’esito delle Marche, o almeno prima, evitando settimane di voci, retroscena e fibrillazioni? Il fatto è che nulla, in questa fase, appare davvero scontato. Non lo è per la coalizione nazionale, che deve chiudere contemporaneamente i dossier Campania, Puglia e Veneto. Non lo è per Fratelli d’Italia, che al Nord si sente ormai maggioranza relativa e guarda con fastidio a un Veneto ancora considerato terreno “naturale” della Lega. E non lo è per lo stesso Salvini, che deve bilanciare fedeltà interna e rapporti con Giorgia Meloni. Ecco perché i Fratelli veneti non ci stanno.

I candidati

Ritengono di avere due candidati forti, Luca De Carlo (nella foto) e Raffaele Speranzon, in grado di interpretare al meglio il dopo Zaia. Non semplici nomi di bandiera: entrambi radicati, entrambi con esperienza amministrativa e parlamentare. “Perché rianimare chi è in difficoltà?”, si chiedono i militanti di FdI guardando ai sondaggi che fotografano una Lega ferma al 13-14%, mentre il partito della Meloni in Veneto viaggia al 37%. La stessa sproporzione si registra in Lombardia, dove i meloniani sono al 31% e la Lega sempre intorno al 14. Per FdI non esiste uno scenario in cui il Veneto oggi e la Lombardia tra due o tre anni vengano entrambe lasciate alla Lega. Sarebbe, dicono, un regalo immeritato a chi ha perso consensi e un insulto alla logica dei numeri.

Il compromesso romano

Da Roma, però, la musica è diversa. “La politica è fatta di equilibrio, realismo e compromesso”, replicano fonti parlamentari. Per questo, nonostante la sproporzione dei voti, la Lega continua a rivendicare il Veneto. L’idea che circola è quella di un “lodo” che riequilibri più avanti, magari con un ritorno per FdI in altre regioni chiave o con un ingresso di Zaia in un futuro governo. In questo senso va letto il “bonus” del seggio suppletivo lasciato libero e che potrebbe consentire al governatore uscente un primo passaggio a Roma, in attesa di un ruolo di rilievo nell’esecutivo. Non è escluso che la decisione finale venga presa solo dopo la votazione di lunedì, con la regia di Meloni e Salvini in un vertice a due. Nel frattempo, il Palageox di Padova è già stato prenotato per mercoledì 8 ottobre: la Lega lo presenta come il luogo in cui Salvini lancerà la campagna elettorale assieme a Stefani. Una scelta che suona come un’investitura annunciata, ma che può ancora trasformarsi in un boomerang se, all’ultimo, dovesse prevalere la linea di FdI. Intanto, il segretario veneto del Pd, Andrea Martella, parla di “insulto” agli elettori: “È incredibile che si sia dovuto aspettare l’esito delle Marche, e magari della Calabria, per conoscere il candidato in Veneto”. Così la campagna elettorale di fatto procede senza volto ufficiale, tra conferenze stampa e retroscena che alimentano una suspense da psicodramma politico. Eppure, dietro i tatticismi, la posta in gioco è enorme. Non si tratta solo di scegliere un governatore, ma di stabilire i rapporti di forza futuri nel centrodestra. Se sarà Stefani, la Lega potrà presentare la partita come una sua sopravvivenza politica, una diga al crollo dei consensi. Se invece dovesse spuntarla FdI, la vittoria segnerebbe un passaggio di testimone storico, la fine dell’era zaiana come l’abbiamo conosciuta. Prendendo per buono il “lodo Stefani”, a Roma già si ragiona sulla prossima giunta. Archiviate le esperienze quasi monocolore della stagione Zaia, si prepara un manuale Cencelli in salsa veneta: dieci assessori, cinque a Fratelli d’Italia, due o tre alla Lega oltre al presidente, uno a Forza Italia e il resto a tecnici di area. Un equilibrio nuovo, pensato per sancire un compromesso che vada oltre le urne. Insomma, la scelta del candidato veneto resta appesa a un filo. Non è escluso che ieri sera sia stata già presa, e che queste righe stamattina siano già superate dall’annuncio. Ma è altrettanto plausibile che si arrivi fino all’ultimo, con la decisione ufficializzata a Roma, dopo la votazione di lunedì. La coalizione di maggioranza corre il rischio di trasformare una delle sue regioni simbolo in una contesa interna. Quasi uno psicodramma, se non fosse che il centrodestra unito in Veneto è vincente.


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