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Reportage da Betlemme: le bombe su West Bank e i ragazzi senza futuro

di Angelo Vitale -


West Bank, la sponda occidentale della valle del Giordano, Betlemme, Terra Santa. Tommaso Merlo, cooperante italiano responsabile dei progetti di Pro Terra Sancta, parla e la sua voce viene coperta dalle urla di pochi, giovanissimi palestinesi che esultano per la “vittoria” di questi giorni contro Israele, per il massacro di centinaia di civili, per la cattura di loro coetanei. E l’eco delle sparatorie che “quest’anno, ai checkpoints, sono state frequenti”, commenta amaro Tommaso. Spari che fermano ogni speranza e ogni possibile economia. Che fermano la voglia di una vita normale.

Da quanto tempo siete lì? Cosa fate?
Siamo qui ormai da venti anni. Gestiamo progetti di cooperazione, educazione, aiuto e sostegno attraverso un team di 25 persone, la metà delle quali palestinesi. Il nostro compito, nella scia della custodia dei luoghi della Terra Santa ove operano da 700 anni i frati francescani. Un aiuto per ricostruire le case, per renderle più efficienti sotto l’aspetto idrico, sostituendo le vecchie taniche di alluminio. Diamo un aiuto agli anziani soli, ai malati mentali, alle donne disagiate, alle persone fragili in genere. A Gaza, sosteniamo la parrocchia cristiana locale per i tanti “bambini farfalla” colpiti dall’epidermolisi bollosa. Ora è tutto fermo, dopo l’attacco di Hamas. Chiusi i checkpoint, chiusi i distributori di carburanti. Tutti si avviano a immaginare, a breve, solo il rifornimento di provviste alimentari. Si è fermata la vita quotidiana di ciascuno. Anche il nostro shop, lentamente sviluppato in questi anni e imperniato sui prodotti di 35 cooperative.
Quali gli effetti di un conflitto mai placato sulla vita della gente?
La guerra è un ricordo che si tramanda di generazione in generazione, vissuto ogni volta in modo diverso nei tanti gruppi, da quello degli estremisti ebrei a quello degli islamici. Ma c’è anche tanta gente comune, la prevalenza nella popolazione, che vorrebbe solo assicurare un degno futuro ai propri figli. La comunità cristiana di 10 mila persone è sempre più ridotta, quotidiane le partenze verso gli Stati Uniti e l’Europa, nella consapevolezza di nessuna certezza sulla libertà e sulle opportunità di vita in questa terra. Qui il 50% dei palestinesi ha meno di 24 anni, in una società ove numerose sono le famiglie che hanno fino a una dozzina di figli. Ma pochi si radicalizzano, perché ciò che domina è la speranza in un futuro migliore.
Eppure, i focolai di violenza sono frequenti.
Sì, quest’anno ancora di più. E’ una tragedia vedere giovanissimi palestinesi attaccare a sassate i checkpoint come quello vicino alla nostra sede. Di fronte a loro, giovanissimi anch’essi, soldatesse e soldati israeliani di meno di 20 anni che al minimo incidente utilizzano le armi da fuoco.
Una vita nella tensione continua.
Sì, giornate contrassegnate anche dagli abusi o dal prevalere della forza, in nome della sicurezza. Qui a Betlemme, per esempio, è vietato edificare nei pressi del Muro. Un cittadino che aveva costruito un capanno nel suo giardino vi ha prima trovato un cartello che lo vietava e il giorno dopo si è visto entrare sul terreno un bulldozer per abbattere il capanno. E’ la guerra che si sovrappone alla vita.
Una situazione che continuava, finora, nonostante il conflitto storico.
Sì, con tutti i suoi paradossi, come la moneta unica utilizzata sia dagli israeliani che dai palestinesi. Uno Stato che non ha Stato, la Palestina, fatta di gente comune che ogni giorno attraversa la frontiera per recarsi a fare i lavori cui gli israeliani non vogliono adempiere.
Una traccia di una possibile convivenza comune?
Sì, in un intero territorio come la Terra Santa ove l’odio ricorrente, che può scoppiare all’improvviso, si sovrappone ogni volta ad un’economia possibile. Qui arrivano 3 milioni di pellegrini all’anno. Un territorio che, invece di essere conteso nella polvere, potrebbe vivere di questo, come fa la vicina Giordania. Io sono stato cooperante e volontario anche in Ucraina, Libano, Afganistan ma solo qui in Medio Oriente in un attimo, come in queste ore, l’odio e il sangue fermano tutto. La solidarietà, la scuola, la vita.
Ci può essere una soluzione?
Soltanto quella del buon senso. Finora, le voci delle armi hanno prevalso e continuano a prevalere sulle parole e sulle strade della politica e della diplomazia. L’unico percorso possibile mi pare quello che passa attraverso il perdono reciproco e una scelta decisa per voltare pagina.


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