Economia

Ricatto di stabilità

di Giovanni Vasso -

CHRISTINE LAGARDE URSULA VON DER LEYEN


L’Ue riesce a fare ciò che le riesce meglio: un compromesso che non soddisfa nessuno, forse soltanto gli olandesi. Il nuovo patto di stabilità è più duro di quanto avessero temuto i Paesi mediterranei e sarà più morbido dei sogni d’acciaio di Berlino. Per l’Italia, però, le cattive notizie non finiscono qua. Difatti, al prossimo Eurogruppo, verrà ufficialmente chiesto al governo che cosa intende fare con il Mes. In pratica, Giorgia Meloni rischia di finire con le spalle al muro.

COSA PREVEDE IL NUOVO PATTO DI STABILITÀ

La grande riforma del patto di stabilità sembra il classico topolino partorito dalla montagna delle buone intenzioni. Spariscono gli indicatori attualmente in vigore, dai parametri della riduzione del debito fino alla riduzione del saldo strutturale, ci sarà un singolo indicatore operativo: la spesa pubblica netta. Saranno “accettate” solo spese certificate d’impatto positivo per il Pil. Che vuol dire tutto ma, soprattutto, niente. Il rischio è che gli investimenti previsti e da prevedere potranno rallentarsi, almeno in Italia. Che dovrà sottostare a obiettivi pluriennali di andamento. Finalizzati a raggiungere il traguardo della riduzione del deficit. Nel caso, appunto, dei Paesi come l’Italia, dove il rapporto tra deficit e Pil è superiore al 3% o il debito pubblico è superiore del 60% del Prodotto interno lordo, il governo dovrà impegnarsi a scendere in maniera solida e stabile sotto la soglia. Per farlo, il governo dovrà prevedere un aggiustamento fiscale minimo nella misura dello 0,5% del Pil. Per ogni anno in cui il Paese membro resterà al di sopra del 3% nel rapporto deficit/Pil. In pratica, nel Paese dei tartassati, dove la pressione fiscale ufficiale supera il 43% e quella effettiva è stata quantificata in quasi il 48%, dovranno aumentare, ancora, le tasse. Minimo quattro anni, immaginano i funzionari a Bruxelles. Forse ce ne vorranno addirittura sette. Quel che è certo è che il nuovo patto di stabilità si baserà sui piani pluriennali.

LA DELUSIONE DI GIORGETTI

Ma non basta. Perché le spese del Pnrr non sono state esentate dai “conti” previsti dal nuovo patto di stabilità. In pratica, adesso, l’Italia dovrà ponderare con estrema oculatezza gli investimenti, specialmente nel digitale e nel green. Il ministro all’economia, Giancarlo Giorgetti, non ha nascosto la sua delusione: “E’ un passo avanti, ma noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d`investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è. Ogni spesa di investimento poiché è rilevante e produce debito per il nuovo patto deve essere valutato attentamente. Quindi occorre privilegiare solo la spesa che effettivamente produce un significativo impatto positivo sul Pil”. Il peggio si nasconde, però, altrove. Nel comunicato diramato dalla Commissione, infatti, si fa riferimento a un rafforzamento dei meccanismi di controllo.
Gli Stati più a rischio sul fronte del debito pubblico, saranno sanzionati con procedure per deficit eccessivo se oseranno divergere dai percorsi di aggiustamento concordati a monte. Eventuali dilazioni saranno concesse solo in cambio di “riforme” indicate direttamente da Bruxelles. Insomma, l’Italia – che si ritrova tra i Paesi più indebitati d’Europa – già sa che dovrà trovare un modo per sfuggire ai rigori che si nascondono dietro le promesse e le frasi al miele che arrivano dalla Commissione.

Così L’Ue sceglierà gli investimenti giusti

Parole quasi rassicuranti, come quelle del commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, ha sottolineato che “per aumentare gli investimenti pubblici, i Paesi membri dovranno migliorare la qualità della loro spesa pubblica”. Per l’ex premier: “Il livello di investimenti pubblici deve essere più elevato rispetto al periodo precedente. Non è solo una richiesta ma un requisito per estendere il percorso di aggiustamento”. Chi decide della bontà degli investimenti, chiaramente, siede in Commissione Ue. “Sappiamo che non è semplice, perché serve un equilibrio tra spesa pubblica prudente e l’aumento degli investimenti. È un equilibrio difficile che queste regole e l’attività dei governi e degli Stati membri devono trovare. Ma nello stesso tempo non possiamo arrenderci e accettare il fatto che le nostre regole portano ad un declino progressivo degli investimenti pubblici, perché è una cosa che nelle condizioni attuali del mondo”.

Capitolo Mes: Meloni spalle al muro

Il nuovo patto di stabilità rappresenta, senza dubbio, una tegola in testa al governo Meloni. Ma la mazzata, quella vera, sembra ancora un’altra. Forse ancora più imminente. I soliti spifferi dai corridoi di Bruxelles, immediatamente rilanciati dalle agenzie di stampa di tutta Europa, mettono Giorgia Meloni in un angolo. L’Italia, spiegano fonti senza nome da Bruxelles, dovrà rendere conto al prossimo eurogruppo delle sue intenzioni relativamente al Mes. Palazzo Chigi dovrà muoversi a ratificarlo. Ma la premier, sul Mes, ha fatto promesse solenni al suo elettorato. Certo, ratificare non è sottoscrivere o meglio accedere al meccanismo europeo di stabilità. Ma sarebbe durissimo far passare i distinguo dopo aver promesso di poter “scrivere col sangue” che l’Italia “finché ci sono io, non accederà al Mes”. E, di sicuro, il sì alla ratifica del Mes potrebbe valere (e sbloccare) un grosso pezzo di Pnrr, sbloccando le trattative, serratissime, tra Roma e Bruxelles.

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