Attualità

Riemerge la questione cattolica

di Riccardo Pedrizzi -


Puntualmente, di tanto in tanto, come un fiume carsico, riemerge la cosiddetta questione cattolica e si riapre il dibattito sull’unità di quella galassia di movimenti, associazioni che ruotano intorno a questo mondo. Certo ormai nessuno più si azzarda a proporre una convergenza sul piano politico/partitico, ma c’è ancora qualcuno che ipotizza un’azione comune sul piano prepolitico, o metapolitica come si diceva una volta, dei valori e dei principi, insomma. Forse perché non ha conosciuto, né vissuto la diaspora che si realizzò a seguito di svolte storiche che interessarono e coinvolsero l’intero mondo cattolico non solo sul piano ecclesiale. Questa volta la miccia che ha fatto da detonatore all’apertura della discussione sono state le parole che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha pronunciato al Meeting di Rimini l’agosto scorso: «Voi, che siete rimasti fedeli al carisma del vostro fondatore, non avete mai disprezzato la politica. Anzi. Non vi siete rinchiusi nelle sacrestie nelle quali avrebbero voluto confinarvi, ma vi siete sempre “sporcati le mani”. Declinando nella realtà quella “scelta religiosa” alla quale mezzo secolo fa altri volevano ridurre il mondo cattolico italiano, e che San Giovanni Paolo II ha ribaltato, quando ha descritto la coerenza, nella distinzione degli ambiti, tra fede, cultura e impegno politico»…

Giorgia Meloni

La Meloni per la sua giovane età non ha potuto vivere quel periodo storico, nel quale chi come me era immerso ed in cui si svolsero gli avvenimenti a cui si è riferito (quello della scelta religiosa), ma evidentemente dispone di consiglieri ben preparati e soprattutto ben orientati sul piano culturale e dottrinario che le hanno consentito di sviluppare un ragionamento in linea perfetta con l’insegnamento sociale della chiesa ed, in particolare, del magistero di pontefici come San Giovanni Paolo Secondo e Benedetto XVI. Le affermazioni della leader di F.d.I. hanno fatto “rosicare”, come si dice a Roma, meglio imbestialire, cattolici come Rosi Bindi che non ha gradito in particolare il passaggio circa la “scelta religiosa” di cattolici come lei, essendosi riferito la Premier, evidentemente, a quella dell’Azione Cattolica”. E la cattolica dem ha precisato che: «Dando vita alla “scelta religiosa”, intese abbandonare la stagione del “collateralismo” con la politica attiva, con la Democrazia Cristiana … per affermare nell’associazione il primato della Parola e dell’Eucarestia, della formazione, del servizio alla Chiesa, dell’evangelizzazione e promozione umana. In tempi storici di grande cambiamento non fece una scelta intimistica, non si rifugiò nelle sacrestie, ma con la Chiesa del Concilio volle riscoprire la centralità del Vangelo, da cui tutto il resto prende significato».
In verità il cattolicesimo democratico e cosiddetto “adulto”, quello della cosiddetta “scelta religiosa”, ha sempre sostenuto di amare “la Chiesa che si occupa delle cose di Dio”. La Chiesa si occupi cioè delle cose che non si vedono, dello spirito, dell’anima, del cielo, dell’aldilà; che a quelle terrene che si vedono e si toccano, all’aldiqua insomma, ci pensano i laicisti. In poche parole “non disturbare il manovratore”.
Per questo tipo di cattolici, insomma, non sta alla Chiesa occuparsi delle cose dell’uomo. Eppure Dio si è fatto uomo, carne e sangue; dunque alla Chiesa non può non interessare la dimensione e la condizione umana, l’uomo, la verità su di esso e il suo vero bene. Capiamo che per questi cattolici sarebbe più comoda e conveniente una Chiesa che non intervenisse nella società per correggerla, migliorarla e renderla più a misura d’uomo. Una Chiesa di questo tipo abdicherebbe alla sua funzione e alla sua missione.

Fede e politica

Questi fautori del disimpegno sociale del cattolicesimo, sono quelli che pensano: una cosa è la fede, un’altra è la vita (e quindi la politica). Sono gli alfieri del divorzio, della frattura tra la fede e la vita (e quindi la politica). Sono quelli che non hanno capito che una fede che non venga messa in pratica, che non venga incarnata nella realtà della vita (e quindi anche della politica), che non incida sulla società per umanizzarla, è una fede senza vita, evanescente ed inutile. La fede, però, non può essere ridotta ad un mero fatto privato ed insignificante; la fede deve avere rilevanza sociale. Occorre insomma essere cristiani non solo a casa e in chiesa, ma anche nel Paese, nelle istituzioni, in Parlamento, nel votare, nel fare le leggi. Chi nega questo ruolo pubblico del cristianesimo oltretutto è profondamente illiberale ed antidemocratico. Infatti l’Occidente si caratterizza e si distingue da altre parti del mondo, per l’assoluta libertà, a cominciare da quella di espressione. Qui da noi tutti possono dire tutto, perfino chi non ha nulla da dire. E nessuno si sogna di sostenere che le varie organizzazioni sociali non possano partecipare al dibattito pubblico, non possano intervenire sui temi posti all’ordine del giorno dell’agenda politica, non possano far sapere come la pensano, specie su quei provvedimenti che le toccano direttamente. Le loro prese di posizione, anzi, vengono giustamente considerate un arricchimento del dialogo, del confronto e della vita democratica.

La libertà di espressione

Tale diritto alla libertà di espressione, dovrebbe essere negato solo alla Chiesa cattolica, che ha molto, anzi tutto, da dire. Solo la Chiesa, per questi campioni della libertà a intermittenza, dovrebbe tacere, astenersi dal giudizio sugli interventi del potere costituito, anche quelli che, chiamando in causa valori etico-sociali, come la famiglia, riguardano la sua stessa missione. Insomma, la Chiesa cattolica dovrebbe pensare: tutto quello che lo Stato decide, per noi va sempre bene. E quindi “non disturbare il manovratore”. Questa pretesa totalitaria, dovrebbe suscitare la ribellione non soltanto dei cattolici, ma anche dei veri liberali di qualsiasi schieramento politico e culturale.


Torna alle notizie in home