Per la rubrica IN GIUSIZIA il punto sulla riforma della Giustizia voluta dal governo Meloni
Per la rubrica IN GIUSIZIA il punto sulla riforma della Giustizia voluta dal governo Meloni
L’esame in seconda lettura della riforma Meloni – Nordio procede spedito e presto sarà a metà del guado. Gli aspetti tecnici sono già stati vagliati su questa testata ed in particolare in questa rubrica e si può procedere quindi ad un commento più politico, compatibilmente con il ruolo di questa pagina, vista la personalità così poliedrica del Ministro Carlo Nordio che si rivolge indifferentemente ai “colleghi” magistrati, come ai “colleghi” parlamentari, ed incarna in questi mesi alla perfezione il ruolo di “divulgatore” della propria riforma in vista dell’esito del referendum confermativo, che si terrà presumibilmente entro l’anno.
In particolare, si può dire stia riuscendo molto bene nel suo intento di comunicare quanto fosse lontano dalla realtà l’assurdo allarmismo di buona parte delle magistratura associata e della sinistra sull’impatto potenzialmente lesivo verso l’autonomia e l’indipendenza della magistratura che avrebbe potuto attribuirsi alla separazione delle carriere. Il paradosso è proprio qui, la totale assoluta mancanza di sensibilità politica, nell’opposizione e nell’ANM, nel riconoscere l’anima liberale della maggioranza di governo, soprattutto nella componente Forzista, alla quale appartiene Nordio, nata con Silvio Berlusconi.
A questa cultura politica, come anche a quella di Fratelli d’Italia e della Lega, anche se per altri motivi, nulla è più estraneo della soggezione della pubblica accusa all’esecutivo, semplicemente perché se per puro caso la sinistra riuscisse ad andare al governo, la componente ideologicamente orientata della magistratura potrebbe agire come una comunità di funzionari di partito senza alcuno scrupolo e questo è chiaramente temuto da tutta la maggioranza. Il Ministro Nordio, con la sua abilità comunicativa colta e competente, in vista del referendum, lo sta spiegando agli italiani durante l’esame della legge in Parlamento. Altro equivoco “disinnescato” da Nordio è quello della collocazione nell’alveo del “Giusto processo” della stessa separazione delle carriere che è figlia legittima e diretta della riforma del codice di procedura penale del 1988, voluta dal leader della resistenza Giuliano Vassalli in sostituzione del codice più fascista della storia, quello del guardasigilli di Mussolini, Alfredo Rocco.
È il rito accusatorio infatti che impone separazione dei ruoli e delle carriere, chiare e nette. Lo stesso Carlo Nordio ha evidenziato invece la lacuna della riforma che non prevede, nell’ambito della costituzionalizzazione dei principi del rito accusatorio e quindi del giusto processo la definizione del ruolo costituzionale dell’avvocato. Infatti, se quello del rapporto tra magistratura requirente e magistratura giudicante è un problema di equilibrio tra due poteri accomunati dalla condivisione dell’appartenenza all’ordine giudiziario, quello che nasce dal rapporto tra accusa e difesa tecnica privata è un problema di parità come solennemente enunciato dall’art. 111 della costituzione. Secondo la legge cost. n. 2 del 1999 che introdusse i principi del giusto processo e del rito accusatorio: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata“. Il giudice terzo e imparziale è quello che ha una carriera ed un professionalità distinta dal pubblico ministero, in quanto è rispetto a quest’ultimo che deve essere terzo ed imparziale, almeno nella giurisdizione penale. Oltre a questo, il principio fondamentale è che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità. La parità tra accusa e difesa non riguarda ovviamente le carriere dei magistrati bensì il ruolo dell’avvocato e questo aspetto è quello che non è ancora stato riformato. Ed è invece di portata essenziale.