Editoriale

Se Prodi c’entra con Garlasco

di Tommaso Cerno -


Se Prodi c’entra con Garlasco. C’è una nuova prova. E potrebbe riaprirsi un processo storico. I magistrati stanno valutando l’esistenza di un complice di Alberto Stasi, quando nel 2007, massacrò la fidanzata Chiara Poggi nella villetta di Garlasco. L’omicida, secondo quanto si apprende, non sarebbe stato solo. Come sembrava. Con lui c’era un complice: il patriarcato.

Proprio così, il movente del delitto cambia il quadro accusatorio. E questo porterà a nuove, clamorosi sviluppi. A portarci sulla pista giusta un caso di cronaca più recente, il dramma di Giulia Cecchettin assassinata e poi gettata in un dirupo della montagna friulana dall’ex fidanzato, Filippo Turetta. Un caso che, come è trapelato, non coinvolgerebbe la vittima e il suo carnefice, segnando un salto di qualità nei femminicidi, la vera piaga che colpisce le donne in Europa, la stessa che nel 2007 avrebbe dovuto portare a denominare quel delitto macabro il “femminicidio Poggi” e non il “caso Alberto Stasi”, come invece fu.

No, è del tutto chiaro dalle prime ricostruzioni che c’è un movente politico, il patriarcato, e un complice nell’efferato gesto di Filippo, il governo di destra guidato da Giorgia Meloni. La ragione? Perché la prima premier donna della storia d’Italia non si farebbe chiamare con l’epiteto di “la presidente”, bensì con quello usato da tutti gli altri premier della storia repubblicana, cioè “il presidente del Consiglio dei ministri”. Ecco che tale malefatta apre a un ruolo esplicito della politica nel delitto. E che tale ruolo andrà dunque cercato, per similitudine, anche nel caso Garlasco. Al governo quel 13 agosto 2007 c’era Romano Prodi, leader dell’Unione, che aveva vinto le elezioni contro Silvio Berlusconi l’anno prima. Ed è oggi intenzione degli inquirenti scavare a fondo nel ruolo che potrebbe avere avuto il patriarcato nell’era del Prodi II e su come questo complice dimenticato possa avere influenzato il delitto, pur restando all’epoca fuori dall’inchiesta e dai commenti televisivi e giornalistici.

Che Italia sbadata eravamo. Ma come potevamo non immaginare che un delitto di sangue possa avere come protagonisti il premier in carica e l’opposizione, come potevamo non capire che la politica c’entra con tutto tranne con quello che è messa lì a fare: alzare gli stipendi agli italiani, abbassare le tasse, costruire una sanità che funzioni e togliersi dalle scatole il prima possibile quando si parla di vita privata. L’Italia del 2007 era davvero indietro, perché non era uno stato etico, dove tutto passa per palazzo Chigi e per il Nazareno. Era uno stato liberale, dove governava chi aveva vinto le elezioni e si poteva uccidere in santa pace. Adesso invece siamo diventati grandi. Adesso abbiamo preso coscienza del fatto che la politica non serve a fare la pace fra contendenti, a far vivere meglio la gente, a redistribuire il reddito e a costruire politiche espansive.

No, serve a risolvere i gialli. E serve a trovare i colpevoli degli omicidi. La verità è che Giulia è morta in un Paese di gente che ha gettato il cervello all’ammasso. E che se i giovani non parlano con i boomer, come ci chiamano loro, hanno tutte le loro ragioni. Se un ragazzo di vent’anni accende la tv e sente la stratosferica sequela di idiozie che stiamo dicendo pur di essere noi, e non Giulia, i protagonisti di questo orrore, ha tutte le ragioni per chiudersi con la faccia puntata sul suo smartphone e rialzare lo sguardo al prossimo plenilunio.


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